Africa: il contagio tra guerre e povertà

Covid -19 e continente africano: come è realmente la situazione? Il sistema sanitario di questi paesi è pronto a far fronte alla diffusione del virus? Quali i pericoli per le persone e per l’economia? Domande che rappresentano altre urgenti sfide, che abbiamo posto ad un esperto di Africa, padre Filippo Ivardi Ganapini , direttore di Nigrizia, mensile dei missionari comboniani dedicato al continente africano.

I contagi e le misure restrittive

Ad oggi nel continente africano l’epidemia di coronavirus è un fenomeno in crescita: come ci ha spiegato padre Filippo, qualche giorno fa «siamo arrivati ad oltre 16 mila casi confermati, più di tremila guariti e 874 decessi, ma si deve tener conto che in molte località è impossibile effettuare tamponi e controllare la popolazione». È chiaro che ormai l’allarme è forte perché tutti i Paesi hanno dei contagi al loro interno. «Alcuni Stati sono più colpiti di altri: ad esempio il Sud Africa, che ha attuato le misure più restrittive e la chiusura totale del Paese per 21 giorni. Seguono il suo esempio anche il Malawi, il Ruanda, il Senegal, l’Uganda. Gli altri Paesi più colpiti sono il Marocco, l’Egitto e il Burkina Faso». Sono diversi poi gli Stati che in queste settimane hanno attuato misure restrittive, come la chiusura degli esercizi commerciali, il coprifuoco e le norme di distanziamento sociale con il divieto di manifestazioni pubbliche. «Dove possibile – spiega padre Filippo – si invita la popolazione a lavarsi le mani e a rispettare le norme di igiene, anche se l’accesso all’acqua o alle mascherine non è così semplice». Anche l’invito a rimanere a casa non sembra così facile da rispettare. Basti tener presente che «200 milioni di persone in tutto il continente sono ammassate in baraccopoli e, vivendo perlopiù grazie a lavori salariati giorno per giorno, sono costrette ad uscire di casa». Ci sono però Paesi che sembrano essere rimasti fuori da tale sistema di chiusura: uno di questi è il Burundi, dove «attualmente continua la campagna elettorale e sono state confermate le elezioni politiche, oltre a proseguire i campionati di calcio. Anche il presidente del Benin ha dichiarato che per questioni economiche non può permettersi di fermare il Paese». In questo momento, ci sono sempre più Paesi che hanno come due volti: quello della quarantena e quello esattamente contrario del «tutto aperto»: «Da una parte abbiamo capitali come Nairobi in Kenia e Lusaka in Zambia dove c’è la possibilità, per alcuni, di chiudersi in casa e rimanere in quarantena; ma ci sono anche intere città che non possono invece chiudersi, sia per ragioni economiche che culturali. Nella realtà del Ciad, ad esempio, la gente si ritrova per mangiare insieme anche da uno stesso piatto, segnali che fanno capire quanto sia complicato comprendere l’attuale emergenza».

L’aspetto economico

Se la pandemia di coronavirus sta mettendo in ginocchio il sistema economico degli stati più industrializzati, si può ben immaginare quanto più sia in pericolo quello africano, dove già in queste settimane stanno aumentando i costi dei beni di prima necessità. Nei giorni scorsi, «il Segretario generale delle Nazioni Unite ha chiesto un intervento di 3 mila miliardi di dollari e una moratoria del debito per salvare i Paesi africani. Mercoledì la conferma di un primo grande passo storico, ovvero il Fondo monetario internazionale ha annunciato di voler ridurre il debito per diversi Paesi in difficoltà, tra questi 19 sono africa ni», continua il comboniano.

Una situazione sanitaria altamente precaria

Altro punto molto delicato e fragile è quello riguardante il sistema sanitario che «farebbe parecchia fatica a sostenere una diffusione molto ampia del virus, basti pensare che in tutta la Repubblica Centrafricana ci sono solo tre respiratori polmonari e che in tutto il continente ci sono solamente due laboratori diagnostici, uno a Nairobi e l’altro sulla costa dell’Oceano Indiano». Attualmente, come ci spiega padre Filippo, «è difficile fare previsioni e l’invito ora è quello di non abbassare la guardia». Nonostante tutte queste fragilità, si moltiplicano i gesti di solidarietà verso altri Paesi e in particolare verso l’Italia: «L’Algeria ha compiuto un gesto molto bello fornendo 304 mila paia di guanti sterili; come anche Libia e Somalia hanno inviato dei loro medici negli ospedali italiani».

Non si fermano i problemi di sempre

Il Covid-19 sta concentrando su di sé tutta l’attenzione pubblica, quella dei media e dei giornalisti, ma questo non vuol dire che non ci siano altre notizie da raccontare, che le guerre si siano fermate, o che il problema dei migranti sia stato risolto. Tutti aspetti, come ci conferma padre Filippo, ancora molto presenti: «continuano le guerre in corso, come in Libia; non si arresta l’invasione delle locuste nell’Africa orientale che sta devastando l’agricoltura; prosegue la tragedia dei migranti con nuovi terribili naufragi, come anche il terrorismo che continua a mietere vittime». Vi è poi un altro aspetto infelice che è bene sottolineare, ovvero che «in alcuni Paesi come Egitto e Kenya i militari approfittano delle misure di restrizione per scatenarsi contro la popolazione», conclude il missionario.

Silvia Guggiari

20 Aprile 2020 | 10:07
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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