Affamare per opprimere, il cibo usato come arma

di Paolo Beccegato

Italia Caritas – dicembre 2016

In Siria e in Iraq si continua a combattere. Nonostante tutto. Tra violenze inaudite. Non solo a causa delle strategie militari e delle tattiche con cui tali guerre vengono condotte. Ma, ormai, anche a causa di uno spregiudicato uso delle risorse alimentari: in gran parte dei macabri scenari di conflitto armato in tutto il mondo, la fame è sempre più considerata come una qualsiasi arma, utile non solo a danneggiare i combattenti, ma a distruggere intere popolazioni considerate come nemiche.
Il problema del controllo bellico degli aiuti s’impone di conseguenza come centrale. In Somalia, la milizia Al-Shabab, nel corso degli ultimi anni, ha sistematicamente impedito agli aiuti alimentari di raggiungere le comunità che voleva sopprimere. Dopo numerosi attacchi ai convogli e l’uccisione di molti operatori umanitari, il World Food Programme ha dovuto sospendere le operazioni pensate per nutrire un milione di persone nel sud del paese.
Anche il regime di Assad, in Siria, sin dai primi anni del conflitto ha usufruito di un importante vantaggio, dato che la quasi totalità degli aiuti veniva consegnata dalle Nazioni Unite alle autorità governative o alla Mezzaluna rossa siriana, ampiamente influenzata dal governo. Abbiamo dovuto attendere il luglio 2014 perché il Consiglio di sicurezza autorizzasse la consegna dell’assistenza anche alle aree non controllate dallo stato (risoluzione 2165). Quella che un funzionario siriano ha chiamato la campagna «Affamare fino alla sottomissione», ha spinto milioni di persone a lasciare forzatamente le aree controllate dall’opposizione per poter ricevere cibo e farmaci degli aiuti internazionali nei territori tenuti dal governo. Una volta dentro, non è più stato loro permesso di tornare indietro, mentre dalle città sotto assedio si è impedito alla gente di uscire. È stato riportato che un cartello con la scritta «O ti inginocchi davanti ad Assad o morirai di fame» sia stato affisso nei posti di blocco che portano alla capitale. Anche l’opposizione ha usato questa tattica, ma su scala minore. Quando la brigata al-Tawhid ha tentato di bloccare il passaggio di Bustan al-Qasr, tra Aleppo est e ovest, le proteste della popolazione hanno costretto a riaprirlo.

Scendere a compromessi
Durante una guerra, in presenza della «macchina dell’umanitario», è quasi inevitabile che le forze che controllano il territorio riescano a impossessarsi di una parte dell’aiuto alimentare, almeno per quanto riguarda le operazioni Onu su vasta scala. Le agenzie umanitarie assumono personale locale, che spesso deve versare una parte del proprio salario ai leader locali. Il cibo viene spesso rubato e, ancora più spesso, usato come «pedaggio» illegale da pagare ai gruppi che controllano le strade. In situazioni in cui il territorio è conteso tra i signori della guerra, questi scelgono strategicamente di affamare una parte della popolazione per attirare l’aiuto alimentare e potersene impossessare, almeno in parte. Ed ecco che al conflitto si sovrappone una competizione per gli aiuti, tutta a danno della popolazione.
Talvolta anche i responsabili di grosse ong internazionali ammettono apertamente che la loro organizzazione deve stringere accordi con i signori della guerra, per garantirsi l’accesso alle vittime. Analogamente, molte organizzazioni accettano di pagare una quota dell’aiuto in cambio della possibilità di operare per un ampio numero di persone in stato di urgente bisogno. Dunque, è naturale aspettarsi che i warlords manipolino i bisogni della popolazione a proprio vantaggio, in sostanza usando la fame come un’arma.
Con il moltiplicarsi dei fronti di guerra, dove chi combatte non rispetta alcun trattato nè codice, i conflitti dimenticati si trasformano dunque in luoghi disumani, dove i civili sono trattati in modo talmente barbaro che è difficile trovare parole adeguate anche solo per denunciare tali atrocità. Si tratta di pagine buie della storia, rispetto alle quali alle forze migliori della società e della politica sono richiesti uno scatto di volontà e una capacità innovativa, per invertire tale triste rotta.

2 Gennaio 2017 | 18:00
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