Chiesa

Addio a Tettamanzi, il «piccolo» cardinale dal grande cuore

È morto Dionigi Tettamanzi, 83 anni, arcivescovo emerito di Milano, la diocesi che ha guidato dal 2002 al 2011. Il cardinale soffriva per il riacutizzarsi della malattia che l’aveva colpito alcuni anni fa. Nato a Renate, in Brianza, nel 1934entra in seminario all’età di 11 anni. Don Pasquale Zanzi, per 45 anni parroco di Renate, il sacerdote che per primo intuì la vocazione di Dionigi, spesso gli ripeteva «Te sé piscinin, ma te ghé un bel crapin» («Sei piccolino di statura, ma hai una bella testolina intelligente»). Viene ordinato prete dall’arcivescovo Giovanni Battista Montini nel 1957. Completa gli studi a Roma per un biennio, presso il Pontificio Seminario Lombardo e frequenta la Gregoriana, conseguendo il dottorato in teologia con una testi su «Il dovere dell’apostolato dei laici». Per oltre vent’anni insegna morale fondamentale al Seminario maggiore di Venegono. Tra i temi maggiormente trattati nella sua vastissima produzione ci sono questioni di morale fondamentale accanto a quelle di morale speciale, con una preferenza per l’ambito del matrimonio, della famiglia, della sessualità e della bioetica. Sono gli anni in cui diventa uno stimato collaboratore di Papa Wojtyla, spesso consultato per la stesura di documenti ed encicliche. 

 

Nel 1989 viene nominato arcivescovo di Ancona-Osimo ma il suo episcopato nella diocesi marchigiana è un passaggio destinato a durare pochissimo: nell’aprile 1991 infatti la lascia per assumere l’incarico di segretario generale della Conferenza episcopale italiana, primo atto significativo della presidenza di Camillo Ruini. Sono gli anni burrascosi di Tangentopoli, della nascita della Seconda Repubblica, della fine del partito unico dei cattolici. È Tettamanzi segretario a permettere l’operazione editoriale che porterà ad allegare i Vangeli, gli Atti degli Apostoli e l’Apocalisse al quotidiano l’Unità, allora diretto da Walter Veltroni. Anche la sua presenza in Cei non dura a lungo. Nel 1995 Giovanni Paolo II lo nomina arcivescovo metropolita di Genova, successore del cardinale CanestriSarà creato cardinale nel concistoro del 1998. Ma la città della Lanterna, al contrario di quanto si potrebbe pensare, non è la sua destinazione definitiva. Dopo il lungo episcopato milanese di Carlo Maria Martini si cerca un successore che conosca già dall’interno la complessa realtà della diocesi ambrosiana. La decisione di nominarlo arcivescovo di Milano, presa da Papa Wojtyla quando il Prefetto della Congregazione dei vescovi è il cardinale Giovanni Battista Re, risulta del tutto inedita: uno strappo alla tradizione non scritta che mai aveva visto nell’ultimo secolo un arcivescovo metropolita già porporato passare da una sede ad un’altra. Tettamanzi racconterà che nel comunicarglielo, durante un’udienza a Castel Gandolfo, l’ormai anziano e malato Giovanni Paolo II gli aveva fatto una carezza sulla guancia.

 

Il 29 settembre 2002 Tettamanzi entra a Milano e riceve il pastorale dalle mani di Martini. Nella lunga omelia programmatica dice: «Gli uomini e le donne del nostro tempo, anche se inconsapevolmente, ci chiedono di «parlare» loro di Cristo, anzi di farlo loro «vedere». Essi hanno diritto alla nostra gioiosa e coraggiosa testimonianza di fede, come ne ha diritto la società intera: anche se si è fatta indifferente, pagana e ostile a Dio e a Gesù Cristo, la nostra società, infatti, non può sradicare e cancellare quell’anelito religioso che Dio Creatore e Padre ha impresso nel cuore di ogni uomo». A fare breccia tra la gente ambrosiana è lo stile di Tettamanzi, che alla fine di ogni celebrazione rimane per lungo tempo a disposizione dei fedeli, di chiunque voglia avvicinarlo per stringergli la mano o rivolgergli una richiesta. Disponibile con tutti, sempre cordiale, ma per nulla ingenuo.

 

Nel 2005, alla morte di Giovanni Paolo II, il nome di Tettamanzi circola tra gli osservatori come quello di possibile «papabile». C’è chi enfatizza la sua commozione al momento di lasciare il palazzo arcivescovile di piazza Fontana, considerandola quasi un presentimento. Ma già alla prima votazione nella Sistina, per il rapidissimo conclave che nel giro di 24 ore porterà all’elezione di Joseph Ratzinger, ci si accorge che i veri «papabili» sono altri.

 

Negli anni del suo episcopato milanese lui, pastore brianzolo espressione di un cattolicesimo popolare nonché collaboratore da dietro le quinte di molti scritti wojtyliani di morale, finisce per venir rappresentato – con una evidente caricatura – come un pericoloso progressista da quanti non lo considerano perfettamente allineato con Ruini e con la visione culturale e politica degli «atei devoti» che consacrano il berlusconismo. Aprendo i lavori del Convegno della Chiesa italiana di Verona, prende le distanze da quella linea, citando la Lettera agli Efesini di sant’Ignazio di Antiochia: «Quelli che fanno professione di appartenere a Cristo si riconosceranno dalle loro opere. Ora non si tratta di fare una professione di fede a parole, ma di perseverare nella pratica della fede sino alla fine. È meglio essere cristiano senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo». Finisce nel mirino di attacchi rozzi, come quelli del ministro leghista Roberto Calderoli che lo definisce «imam» per le sue parole sull’accoglienza verso i musulmani.

 

La Milano che Tettamanzi lascia nel 2011, quando gli succede Angelo Scola, fino ad allora patriarca di Venezia (un secondo strappo alle tradizioni) è diversa da quella che ha trovato. «Il futuro è nella carità», profetizza l’ormai arcivescovo emerito, a motivo delle trasformazioni sociali e della crisi economica: a Milano «ho trovato il progressivo impoverimento economico delle famiglie, ma al tempo stesso l’aumento della pratica della solidarietà; la crescente disaffezione verso la politica e l’aumentata voglia di «dire la propria» sulla città; il peggioramento di alcune prospettive di stabilità per il lavoro dei giovani ma, insieme, le accresciute opportunità formative e culturali; l’aumento del numero degli immigrati e la crescente incapacità a farli sentire protagonisti della società; l’aumento della ricchezza per pochi, l’indebitamento crescente per molti. Dimenticavo un’altra cosa che non è cambiata: gli anni della cosiddetta Tangentopoli pare che qui non abbiano insegnato nulla, visto che purtroppo la questione morale è sempre d’attualità».

 

A proposito di immigrazione, al momento di lasciare la guida della diocesi, afferma: «La nostra società fa ancora fatica a confrontarsi veramente con l’immigrazione, che, se per alcuni può essere un problema, per tutti dovrebbe essere, invece, un’opportunità. È all’immigrazione che Milano deve non poco della sua fortuna: questa città è frutto di ripetuti e successivi processi di integrazione. È una memoria da recuperare. Sicuramente occorre intervenire per regolare doverosamente il fenomeno migratorio, garantendo la legalità, attivandosi di concerto con le altre nazioni. Ed è indubitabile che anche la Chiesa debba fare la propria parte. Purtroppo, invece, spesso accade che a prevalere sia la paura dell’altro».

 

Con Tettamanzi arcivescovo la diocesi ambrosiana istituisce il Fondo Famiglia Lavoro, per aiutare chi è in difficoltà a motivo della crisi. Un modello che sarà poi replicato in altre diocesi. Da emerito, il cardinale Tettamanzi si ritira a Triuggio, in una residenza di proprietà dell’arcidiocesi di Milano, dove lo assisteranno fino alla morte. Non vuole essere (e non sarà) ingombrante per il suo successore: non rilascia interviste, non diventa, come talvolta accade agli emeriti – più o meno inconsapevolmente – il referente della «fronda» al vescovo in carica. Continua a dedicarsi invece all’attività pastorale, celebrando le cresime nelle parrocchie, aiutando così il suo successore. Dopo le dimissioni del vescovo di Vigevano Vincenzo Di Mauro, nel luglio 2012 Tettamanzi viene nominato amministratore apostolico di Vigevano, dove rimarrà per un anno, fino alla designazione del nuovo pastore, andando avanti e indietro da Milano. Un esempio e una testimonianza di come si possa continuare a servire la Chiesa da vescovi emeriti. Nel marzo 2013 partecipa al conclave che elegge Jorge Mario Bergoglio, che farà in tempo a incontrare nella «sua» Milano quattro anni dopo, il 25 marzo scorso: sebbene gravemente malato, riuscirà a essere presente in duomo, e a ricevere così l’abbraccio di Francesco.

 

Da arcivescovo, nel 2008, Tettamanzi aveva dedicato una lettera pastorale agli sposi «in situazione di separazione, divorzio o nuova unione», a quelli che hanno «il cuore ferito», per comunicare loro che non devono sentirsi esclusi o emarginati dalla vita delle comunità cristiane. E all’inizio del primo dei due Sinodi sulla famiglia, nell’ottobre 2014, l’arcivescovo emerito di Milano apre per la prima volta anche alla possibilità dei sacramenti per i divorziati risposati: «Penso che l’ipotesi potrebbe essere accolta a tre precise condizioni che determinano una strada da percorrere: se dei sacramenti si assume, secondo l’insegnamento costante della Chiesa, il significato di «segni delle misericordie di Dio»; se si evitano indebite confusioni sull’indissolubilità del matrimonio e si assicura un recuperato impegno di vita cristiana attraverso «cammini di fede» che siano veri e seri».

 

Prima di lasciare la diocesi, facendo un bilancio del suo episcopato milanese, aveva detto: «Oggi più che mai abbiamo bisogno di una Chiesa radicata in Cristo, che metta lui e non l’organizzazione o il successo mondano al centro». E nei giorni della malattia, anche nei momenti nei quali non era presente a se stesso a motivo dei farmaci, ha continuato a raccomandare «la preghiera e il lavoro per l’unità della Chiesa», come sua principale preoccupazione che sgorgava dal suo inconscio. La preoccupazione che ha segnato tutta la sua vita di fedele servitore del Vangelo e dei Papi che si sono succeduti sulla cattedra di Pietro. Ha fatto in tempo a incontrare quello attuale nella «sua» Milano, il 25 marzo scorso: sebbene gravemente malato, è riuscito a essere presente in duomo, e a ricevere così l’abbraccio di Bergoglio.

Andrea Tornielli – VaticanInsider

5 Agosto 2017 | 13:24
Tempo di lettura: ca. 6 min.
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