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A 50 anni dalla Populorum Progressio, Parolin: «Il vero sviluppo è eliminare le ingiustizie «

Le «buone intenzioni» servono a poco. Per garantire la pace e lo «sviluppo», inteso come «miglioramento delle condizioni di vita» delle popolazioni che patiscono fame, guerra e povertà, sono necessarie e urgenti «azioni concrete» mosse dalla solidarietà «con ogni persona che soffre». Per il cardinale Pietro Parolin sono poche le alternative: «Bisogna sostituire la legge del potere con il potere dell’amore», ha detto nell’omelia di questa mattina nella Basilica Vaticana per i partecipanti al congresso internazionale sulle «Prospettive per il servizio dello sviluppo umano integrale a 50 anni dalla Populorum Progressio«. Ovvero l’enciclica del beato Paolo VI del 1967 che per la prima volta estendeva a livello mondiale l’insegnamento sociale della Chiesa.

Un insegnamento che oggi trova applicazione nel Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale istituito dal Papa nell’agosto 2016 – e promotore della conferenza – che raccoglie quattro organismi della Santa Sede: Pontificio Consiglio Iustitia et Pax, Cor Unum, Migranti e itineranti, Operatori sanitari. È «provvidenziale», ha annotato Parolin, che il 50esimo della Populorum progressio coincidano con l’inizio dell’attività del nuovo ufficio voluto da Francesco per porre fine alle «forme di marginalizzazione» di coloro che si trovano in situazione di privazione e di bisogno: migranti, carcerati, disoccupati, come pure malati, vittime di guerre e catastrofi naturali.

Davanti a queste urgenze, il Dicastero deve agire «come un unico corpo, con differenti funzioni», ha affermato il Segretario di Stato, rimarcando che nessuno è «troppo piccolo» per tirarsi fuori dall’impegno di «lavorare insieme, uniti nella preoccupazione gli uni per gli altri, per proclamare la salvezza al centro e alle periferie, la pace e la riconciliazione tra individui e i popoli». «Non bisogna aver paura di sporcarsi le mani, per lavorare per la pace e la giustizia nel mondo», ha aggiunto il cardinale.

Poi, ricordando le parole profetiche scritte da Montini mezzo secolo fa, ha spiegato che «lo sviluppo non può essere ristretto ad una crescita economica soltanto; per essere autentico, esso deve essere completo e favorire lo sviluppo di ogni uomo e di tutta l’umanità». «Lo sviluppo – ha proseguito – consiste nel passaggio da una condizione di vita peggiore ad un miglioramento delle condizioni di vita. E quali sono le vere condizioni di vita? L’uscire fuori dalla povertà e l’acquisizione delle necessità primarie; l’eliminazione dei disagi sociali; l’allargamento degli orizzonti della conoscenza; l’acquisire educazione e cultura».

Alla base dello sviluppo dovrebbe esserci quindi «l’eliminazione delle ingiustizie contro la dignità dell’uomo», invece spesso «prevalgono poteri politici ed economici a danno dei più deboli», ha denunciato Parolin. È vero, «non mancano i dibattiti sulle strategie per eliminare le condizioni che violano la dignità umana» e «per proporre un futuro di generale benessere». Eppure, «le soluzioni spesso proposte contraddicono queste buone intenzioni, favorendo al contrario il potere economico e politico rispetto agli altri».

«Amare a fatti e nella verità – ha evidenziato il Segretario di Stato – significa invece sostituire l’amore del potere con il potere dell’amore». Un concetto ripreso dal cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, prefetto del Dicastero per lo sviluppo umano integrale, che nel suo intervento ha parlato di «una globalizzazione della fratellanza», necessaria per «dare stabilità alla coesistenza pacifica di uomini e donne». Il cardinale ghanese ha lanciato un appello alla «carità» e alla «responsabilità» collettiva per consentire a tutti di «vivere in condizioni più umane». In questo senso si muove il suo lavoro e quello dei suoi collaboratori, che si propone come «un ponte tra il Vangelo e l’uomo di oggi», con «un’attenzione particolare a iniziative di carità, di diaconia in tutto il mondo».

D’altronde è questo il ruolo di tutta la Chiesa che «non è una lobby o una ong», come ha sottolineato il cardinale Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede. «La Chiesa non esiste per se stessa, è Chiesa nella misura in cui è Chiesa per gli altri», ha precisato, «si tratta di salvare l’umanità, di edificare l’umana società». Un compito che la comunità cristiana intende assolvere «collaborando con tutti gli uomini di volontà, anche con gli atei, nelle questioni più urgenti del nostro tempo: la dignità inviolabile della persona umana, la giustizia sociale, la solidarietà e la pace nella famiglia dei popoli, la lotta contro le forze e i poteri distruttivi e nemici dell’uomo». «Non possiamo intendere il cristianesimo come un adattamento borghese del suo messaggio, riducendo l’amore del prossimo a un’elemosina individuale e la Chiesa a una ong umanitaria e sociale», ha ammonito Müller. E ha sollecitato a «collaborare, in modo costruttivo e non distruttivo, a realizzare condizioni di vita degne dell’uomo».

A fargli eco monsignor Silvano Tomasi, segretario delegato del Dicastero per lo sviluppo umano integrale, che ha rimarcato: «Il lavoro per il Regno significa essere in contatto con i poveri, gli oppressi, per arrivare alla pace, alla giustizia e alla protezione dell’ambiente». Gli appelli di Papa Francesco in tal senso sono infiniti, perché quello che vuole ricordarci il Pontefice, ha concluso Tomasi, è che «lo sviluppo non può essere limitato soltanto alla crescita economica: deve promuovere lo sviluppo di tutti gli uomini insieme». Nessuno escluso.

(Salvatore Cernuzio / Vatican Insider)

 

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4 Aprile 2017 | 07:30
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