Coronavirus: «Ritornare all'essenziale, alla fede in un Dio che c'è, qui, adesso»

Una Settimana santa così, nessuno l’avrebbe mai immaginata. Negli annunci delle parrocchie della Svizzera francese, come in Ticino d’altronde, sfilano le stesse parole: «annullato, chiuso, rimandato». È un tempo di passione e di morte come a Gerusalemme tanti anni fa. Colpisce il fatto che la basilica Notre-Dame di Ginevra, che è un po’ la cattedrale dei cattolici ginevrini, sia chiusa. Non solo la santa messa non viene celebrata, come dappertutto, ma le porte sono sbarrate. «Veniva troppa gente a pregare la Madonna. Avremmo dovuto mettere una persona tutto il tempo per imporre le distanze, come chiedono le autorità», dicono in parrocchia. A Losanna, Friborgo e Neuchâtel la maggior parte delle chiese sono aperte. E le sante messe televisive o su internet non mancano. C’è chi segue il Papa ogni mattina sul web, chi ritrova il vescovo di Sion o quello di Friborgo sui rispettivi siti. Per le confessioni, invece, tradizionalmente associate alla Pasqua, la cosa si fa più difficile. A Friborgo, un prete è presente ogni giorno nella chiesa del Cristo Re, in città. Prima dentro il confessionale, cosa pericolosa. Adesso ascolta il penitente a buona distanza nel coro della chiesa, e un fondo musicale assicura la discrezione necessaria. In altre parrocchie, invece, bisogna prendere un appuntamento. «C’è chi confessa anche fuori dalla chiesa, all’aria aperta», dice Giuseppe Foletti, diacono a Losanna. Sta mandando gli ultimi inviti per la sua ordinazione sacerdotale a fine giugno e lo fa in un clima certo particolare. Come ha scritto ai suoi amici, «Mi sono detto: ma si potrà fare? E chissà cosa penseranno quelli che riceveranno questo invito: questo qui, in quale monde vive? Non ha qualcosa di più urgente a cui pensare? Ma poi ho capito che il mio «sì a Gesù» era l’aiuto più concreto che potevo dare in questo momento». Il vescovo ausiliare di Friborgo, mons. Alain de Raemy andrà in Vallese, nella Valle di Bagnes, una zona, con Verbier, molto colpita dal virus. Risponde all’invito della pastorale giovanile romanda che ha creato un sito intitolato paqueschezmoi.ch (Pasqua a casa mia). Si presenta in una veste grafica attraente e vivace: musica, preghiere, interventi di teologi giovani, anche donne e laici. «Vedo, semplificando molto, due atteggiamenti, dice mons. de Raemy, certi pastori sono come bloccati, aspettano solo la fine dello tsunami. Altri cercano di fare un passo. Ma à chiaro che non abbiamo ancora preso la misura della sfida. Invece potrebbe essere una chance per la Chiesa». Cita con ammirazione il gesto di papa Francesco, del 27 marzo scorso, quell’uscita sotto la pioggia che cadeva su piazza San Pietro di quell’uomo claudicante che ha parlato poi con la forza data da un Altro. «È stato un momento incredibile, unico», aggiunge mons. de Raemy. «Io resto in camera. Ho il piede rotto, dunque mi tocca per forza ubbidire alle autorità», dice da parte sua don Philippe Aymon, parroco della cattedrale di Sion. «So che tanti vogliono agire, moltiplicare le riunioni per videoconferenze e altro. Perché no. Ma la Chiesa non sta nel fare. Questa esperienza di un tempo che si ferma è l’occasione, per tutti noi, di ritornare all’essenziale, alla fede in un Dio che c’è, qui, adesso».

Patrice Favre, già direttore dell’Echo Magazine

7 Aprile 2020 | 09:04
Tempo di lettura: ca. 2 min.
Condividere questo articolo!