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Boliviario. Delusioni e conquiste di un volontario

di Mauro Clerici

Molti hanno una visione romantica del volontario e del missionario, persone che vanno là dove c’è un bisogno e in poco tempo cambiano il mondo, lasciando un bel ricordo di sé e tornano con grande battage mediatico a casa propria. Gabriele Camelo, giovane civilista italiano, ha il coraggio di smontare questo castello di sabbia. Svolge un periodo di volontariato a Santa Cruz de la Sierra in Bolivia, tra bambini e adolescenti di strada. Il suo diario boliviano (boliviario) inizia con un’affermazione che potrebbe essere già la «bibbia» del volontario: «Partito per cambiare vita e finalmente provare a fare qualcosa di buono, mi sono tuffato in un mondo povero con l’intento di darmi. Ma l’idea di darsi è, appunto, un’idea. E’ bella, l’idea, ma quando si trasforma in realtà, non tutto può essere come ce lo aspettiamo…Non mi aspettavo che le mie ricchezze (le lauree, le esperienze lavorative, le competenze) potessero servire a ben poco contro le povertà boliviane. Io che ero andato per portare un po’ di vestiti a chi non li ha, mi sono ritrovato nudo come loro, spogliato di tutto me stesso, solo.» Gabriele viene a contatto con un mondo quasi assurdo, con ragazzi vittime di situazioni familiari disastrate, senza desiderio di venirne fuori e che si lasciano morire sui bordi della strada, in compagnia di colla e droghe più o meno potenti che li riducono a uno stato vegetale. E quando gli sembra di essere sulla buona strada per recuperarne uno attraverso l’istituto per il quale lavora, è allora che viene la sconfitta più pesante, la fuga del ragazzo e i rimbrotti dell’organizzazione che fatica a capire i suoi metodi «molli» per affrontare ragazzi che delinquono con il desiderio di essere puniti e puniti severamente. Disarmato totalmente, senza aver nemmeno imparato bene lo spagnolo, sfrutta quello che sa fare al meglio, il giocoliere fantasista con un paio di trampoli e alcuni giochetti di magia che incantano i ragazzi e i bambini malati di cancro in un ospedale vicino. Poi il rientro traumatico in Italia, con la paura di aver perso ogni identità e invece si ritrova arricchito e cresciuto, arricchito dalle esperienze, cresciuto con le sconfitte: In ogni lettera ringrazierò il dolore che ho passato, lo stringere i denti che ho provato, il cristianesimo che mi ha aiutato e i ragazzi di strada che- non so come e perché- mi hanno educato.»

(Gabriele Camelo, edizioni Paoline 2015 243 pag.)

7 Settembre 2015 | 09:44
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