Ernesto Borghi

Verso un altro progresso

La lettera apostolica «Aperuit illis», con la quale, il 30 settembre scorso, papa Francesco ha istituito la Domenica della Parola di Dio (la prima edizione sarà il prossimo 26 gennaio 2020) merita certamente una notevole attenzione.

Non perché dica qualcosa di sostanzialmente nuovo (chi conosce l’esortazione apostolica «Evangelii gaudium», lo splendido documento programmatico globale del pontificato, può confermarlo) e neppure perché formuli proposte chiaramente innovative (un esempio: alcuni comportamenti e talune modalità liturgiche suggerite per la celebrazione di quella giornata sono già vissute da tanti anni in vari contesti e in diverse circostanze). La stessa affermazione del n. 3 sul Lettorato (»I Vescovi potranno in questa Domenica celebrare il rito del Lettorato o affidare un ministero simile, per richiamare l’importanza della proclamazione della Parola di Dio nella liturgia») ribadisce qualcosa di già esistente. Moltiplicare i lettori ordinati è utile per favorire un rapporto più profondo ed esistenziale con la Parola di Dio contenuta nelle Scritture ebraiche e cristiane. Per migliorare seriamente tale rapporto, altro effetto sortirebbe dare opportunità anche a chi non è prete di predicare durante le celebrazioni eucaristiche, come ha considerato recentemente anche il Card. Marx, arcivescovo di Monaco.

Se tutto quanto si è detto sinora è vero, perché papa Francesco ha proposto «Aperuit illis»? Non pretendo ovviamente di essere nella mente e nel cuore del grande argentino, che scelte umane lungimiranti hanno collocato nel massimo ministero della Chiesa cattolica. Credo, però, che tale documento, ben leggibile come i precedenti del pontificato, sia importante per almeno due motivi.

Anzitutto la Domenica della Parola di Dio – terza del tempo ordinario – è collocata subito dopo due momenti di grandissima importanza culturale, sociale e religiosa: la giornata di riflessione sui rapporti tra ebrei e cristiani e l’ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani, in cui le Scritture bibliche non possono che essere al centro dell’attenzione generale. Questa scelta può conferire ulteriore rilevanza a questa centralità, coerentemente con l’importanza effettiva che papa Bergoglio dà sia ai rapporti con gli ebrei che al dialogo ecumenico.

Nella Chiesa cattolica ancora per troppe persone «fare la comunione» o anche partecipare a talune devozioni rimane assai più importante che leggere, meditare ed ascoltare le Scritture ebraiche e cristiane. Pertanto sottolineare l’importanza di queste ultime allo stesso livello della memoria dell’Ultima cena è indubbiamente rilevante a livello formativo ed educativo.
L’istituzione della Domenica della Parola di Dio è poca cosa rispetto alla proposta della Federazione Biblica Cattolica di celebrare, tra l’1 dicembre 2019 e il 30 settembre 2020, in tutta la Chiesa cattolica, un vero «Anno Santo della Bibbia», analogo per ampiezza e profondità ad altri giubilei precedenti? Forse sì. Comunque quanto proposto da papa Bergoglio in «Aperuit illis» potrà avere un effetto promozionale notevolissimo, se sarà vissuta con intelligenza, determinazione e passione.

Quale effetto? Ribadire più che mai un dato di fatto: ogni «Giorno del Signore» non può essere tale, ossia non può celebrare realmente il rapporto tra Dio e l’essere umano, se alla Parola di Dio, contenuta nelle Scritture bibliche, non si dà un’importanza esistenziale sempre maggiore, dalla vita al culto, dal culto alla vita.

Come? Radicando in queste parole umane divinamente ispirate ogni momento e ogni azione della pastorale ordinaria della Chiesa cattolica. Si tratta di un’utopia, considerati il clericalismo e il devozionismo di tanti? Credo di no. Mi pare sia la finalità ecclesiale essenziale del presente e del futuro, se si vuole che la Chiesa di Gesù Cristo abbia un avvenire per il bene suo e dell’umanità in senso lato da effettiva testimone del suo Signore crocifisso e risuscitato.

2 Ottobre 2019 | 19:10
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