Laura Quadri

Una libertà silenziosa

di Laura Quadri

Andare al cinema, sedersi comodi su una poltrona, aspettare che il film inizi: azioni apparentemente normali, se non fosse che la pellicola che si sta per vedere è stata definita dal suo stesso autore «il film di tutta una vita». Non è raro che a una proiezione cinematografica si accompagnino delle aspettative, ma questa volta è diverso. Nel caso di «Silence» il regista ci constringe ad una visione che vuole narrarci niente meno che dell’incapacità comunicativa tra Dio e l’uomo, un tema profondamente coinvolgente. Le modalità espressive scelte da Scorsese per illustrare la tematica sono legate a una contingenza storica: la cristinanizzazione del Giappone ad opera dei gesuiti nel Seicento, ostacolata dalla popolazione locale. I personaggi principali, due gesuiti, partono alla volta del Giappone per ritrovare un loro confratello disperso e, in mezzo alle tante angherie subite, sperimentano la terribile sensazione che Dio si sia allontanto dalle loro vite, scegliendo una via di silenzio. Mentre il film scorreva davanti ai miei occhi la mia mente è andata ad altre esperienze di silenzio, che forse possono aiutarci a capire questa. Innazitutto si può constatare che l’intera storia biblica non sia nient’altro che un eterno alternarsi di parola e silenzio. Il vangelo di Giovanni si apre insistendo proprio su questo aspetto: «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» (Gv 1, 1). La rilevanza unica della parola, per Dio, è dunque dimostrata in maniera del tutto particolare dal fatto che lo stesso Gesù Cristo viene chiamato «la Parola», che in un momento ben preciso della storia «è stata fatta carne ed ha abitato per un tempo fra noi, piena di grazia e di verità» (Gv 1, 14). Queste dichiarazioni evangeliche ci rimandano alla cosmogonia descritta nella Genesi: Dio, che dunque possiede la parola, anzi è lui stesso Parola, costruisce il mondo attraverso di essa. «Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu» (Gn 1, 3). L’universo fisico, il movimento continuo della materia non sono che prolungamenti di questa Parola prima. Tutta la storia della Bibbia si svilupperà poi in un oscillamento continuo, perché alcuni individui, lungi dal piegarsi alla Parola divina, le oppongono delle resistenze, si mostrano indocili, e provocano così avventure, rivolte, drammi. D’altra parte, in alcuni casi, nella Bibbia Dio si cela, si protegge dietro al silenzio. È infatti anche tipicamente biblica l’immagine di Dio che cerca il nascondimento, che «vela la sua faccia». Nei Salmi si prospetta terrore (Sal 30, 8), caos (Sal 104, 26), morte (Sal 143, 7) qualora questo accada e si prega intensamente affinché questo non succeda realmente (Sal 27, 9). Il profeta Isaia parlerà a questo proposito molto chiaramente: «tu sei un Dio che si nasconde» (Isaia 45, 15), a cui farà eco la profezia di Geremia (33, 5-6): «ho nascosto il volto distogliendolo da questa città». Ma perché il discorso non si faccia a questo punto troppo cupo vale la pena ricordare le parole di un grande teologo e filosofo, André Neher: «Nella Bibbia, l’interruzione di una frase, di un capitolo, di una proposizione, non avviene perché non c’era più niente da dire, ma perché il non-detto, il non-dicibile volevano in quel momento esser detti». Silenzio e parola, in ambito cristiano, sono dunque entrambi due stili comunicativi che Dio sceglie per sé. Il silenzio, soprattutto, non deve più spaventarci: esso è talora un mezzo più eloquente della parola. Come in una partitura musicale, esso è addirittura indispensabile affinché il discorso si faccia sinfonia. Mentre la parola vincola e obbliga e definisce l’infinito, non dimentichiamoci che il silenzio lascia all’essere il suo potenziale inesauribile. Esso pone in questione senza mai rispondere; e risponde senza mai concludere. Insomma: di fronte alle grandi scelte da prendere, come capita ai due protagonisti di «Silence», indecisi tra apostasia o sopportazione delle sofferenze, il silenzio rende esseri liberi.

25 Gennaio 2017 | 14:07
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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