Cristina Vonzun

Le proiezioni del Giubileo

Di Cristina Vonzun

Cari naviganti, chi mi segue su facebook sicuramente avrà letto almeno due post che ho dedicato alla magnifica proiezione dell’8 dicembre sulla facciata della Basilica di san Pietro, in occasione dell’apertura del Giubileo. La definisco una proiezione magnifica per tre ragioni: durante la proiezione si potevano rileggere nel proprio cuore quei Salmi che esprimono i moti del creato davanti alla potenza di Dio, oppure aprire il libro della Genesi e riflettere sulla creazione stessa e, terza ragione, si poteva avvertire chiaramente che la natura veniva valutata dagli autori non come un mero mezzo ma come un elemento relazionato alla vita umana. Vorrei soffermarmi soprattutto su questo aspetto, mentre rimando -ad esempio- al cantico di Daniele, per i due aspetti che ho affrontato precedentemente. Siamo all’epoca di un papa che ha scelto di chiamarsi Francesco e che ha dedicato un’Enciclica, la Laudato Si’ alla questione sociale riletta con attenzione ai temi dell’ecologia. Già questa premessa rende tale proiezione quasi un «must» nel Giubileo della Misericordia. Ma, andando oltre, la scelta di aver messo a tema la creazione non come qualcosa da sfruttare ma piuttosto da contemplare, non come la solita natura da usare, ma semmai come una realtà da vivere, non come una serie di cose belle a nostra disposizione, ma come un ecosistema in cui l’uomo è parte e custode, mi pare un successo e un’occasione di riflessione. Le reazioni negative che ho colto attorno a questa proiezione mi hanno fatto sorgere una domanda: siamo ancora in grado di sentirci parte di questa natura o non siamo diventati un po’ alieni, forse anche a causa di un progressivo allontanamento che viviamo dalla natura stessa, dovuto a varie cause, non da ultimo una virtualizzazione della vita che la fa diventare sempre più meccanica, informatizzata, virtuale – appunto? Sentirci parte della natura non è panteismo ma realismo: noi siamo parte dell’ambiente e l’ambiente è parte di noi. Viviamo, che ne siamo coscienti o meno, in un’ecosistema in cui tutto quello che ci circonda e che ha a che fare con la parola vita è da sempre in rete, si determina e ci determina a partire dal mondo materiale e fisico. I cambiamenti climatici sono un esempio evidente e drammatico di questa rete. La nostra umanità è nell’ecosistema, non possiamo alienarcene o negarne l’evidenza oppure considerarlo come alieno alla fede cristiana. Grandi contemplativi, non per niente, hanno scelto dei luoghi immersi nella natura per vivere l’intimità con Dio. Non si tratta qui di idealizzare la natura, che come sappiamo da San Paolo attende anch’essa di essere «liberata totalmente» (Rm 8,18-23). Quindi dobbiamo piuttosto considerarla qualcosa in cui viviamo, da rispettare, temere quando è il caso e custodire… non fare finta che non esista, oppure, semplicemente, ritenerla un oggetto, qualcosa che non c’entra nulla con il mio essere cristiano. Alienare la natura, strapparla fuori dallo sguardo con cui ci alziamo alla mattina, vediamo il sole che sorge e ascoltiamo il cinguettio dei passeri, è rendere irreale il nostro modo di porci davanti alle cose. Non dobbiamo divinizzare la natura, ma non dobbiamo neppure alienarla: essa è parte della nostra vita e ad essa stessa, in qualche modo, viene annunciata una liberazione futura, una «ricapitolazione di tutte le cose», quelle del Cielo e della Terra, in Cristo, come sempre ricorda il buon San Paolo (Ef 1,10).

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29 Dicembre 2015 | 07:00
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