Cristina Vonzun

Nel tempo dell’odio che bussa alle nostre porte

di Cristina Vonzun

Eravamo abituati a vedere in televisione e ad incontrare nella rete video e immagini di attentati in paesi lontani, in Medio Oriente, in Asia e altrove. Ma nel lasso di tempo di pochi giorni, con un’escalation inaudita, quelle bombe lontane sono diventate purtroppo «nostre». Bombe, sparatorie, sgozzamenti, accoltellamenti e altre uccisioni barbare, talune dal sapore quasi rituale, compiute nel nome di un’ideologia che non ha nulla a spartire con la fede in un Dio, fanno ormai parte del nostro quotidiano. Eventi che si verificano nelle grandi città, in provincia, ma anche in villaggi di periferia dove mai si sarebbe potuto ipotizzare qualcosa di simile. La violenza di matrice o di ispirazione terroristico-ideologica diventa l’attacco perpetrato nella porta accanto, con tutto lo strascico di paura che genera. L’altro giorno un’amica mi ha telefonato confessandomi il suo disagio. Voleva solo parlare. Un’altra amica mi ha tempestato di domande, probabilmente unicamente per mettere in comune le sue angosce. Altre amiche, in una chat su WhatsApp, hanno postato un articolo denso di profonde riflessioni sul tema dell’integrazione, tanto per «condividere», come avviene nella rete. Questi episodi personali li interpreto come una manifestazione dell’insicurezza che entra nelle nostre case, nei nostri cuori, nelle nostre menti, in chat e cerca disperatamente delle risposte. Vi leggo però anche una prima fondamentale indicazione di un bisogno profondo di questo tempo di incertezze: la comunità. C’è necessità davanti a questo disagio di intensificare gli spazi di condivisione di vita buona, di idee e gesti di solidarietà e misericordia. C’è bisogno di raccogliere in questa dimensione comunitaria forze, ideali, coraggio e condivisione, spezzando così quello che il terrore (sia esso «ismo» o follia) invece genera: divisione, paura, chiusure, rassegnazione, scontro, contrapposizioni, insicurezza. La sfida è quella di vivere la comunità e allargare il giro dei nostri gruppi e spazi sociali, coinvolgendo in forme di vita buona gente di ogni dove. Il pericolo più grande, infatti, è che isolamento, paura ed esclusione siano subdolamente capaci di dare vita ad altre instabilità sociali e personali, per non parlare di questa violenza bestiale che si insinua purtroppo tra noi in Europa. La comunità se è forte, può essere un modo per curare la paura e prevenire la violenza.

27 Luglio 2016 | 09:09
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rouen (10)
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