Denise Carniel

Lourdes: una riflessione sulla forza della condivisione

Nulla è in regalo, tutto è in prestito.

Sono indebitata fino al collo, sarò costretta a pagare per me con me stessa, a rendere la vita in cambio della vita. E’ così che è stabilito, il cuore va reso e il fegato va reso e ogni singolo dito.

E’ troppo tardi per impugnare il contratto. Quanto devo  mi sarà tolto con la pelle.

Me ne vado per il mondo tra una folla di altri debitori. Su alcuni grava l’obbligo di pagare le ali.

Altri dovranno, per amore o per forza, rendere conto delle foglie. Nella colonna «Dare» Ogni tessuto che è in noi.

Non un ciglio, non un peduncolo da conservare per sempre.

L’inventario è preciso, e a quanto pare

ci toccherà restare con niente.

 

Non riesco a ricordare Dove, quando e

perché Ho permesso che aprissero

questo conto a mio nome. La protesta

contro di esso noi la chiamiamo anima.

E questa è l’unica voce che manchi

nell’inventario».

 

Ho voluto regalarvi una poesia che amo moltissimo, come primo souvenir legato mio viaggio a Lourdes. Perché mai come in questi giorni ho capito che se solo si potesse esser ognuno vestito dei propri pensieri allora sì che sarebbe un mondo ganzo. E onesto anche.

Perché diventerebbe chiaro come non basti avere un corpo, ma sia importante essere un corpo. Questo ha significato per me fidarmi dei miei  sensi: guardare con le mani, sentire con la parola, ascoltare con la pelle.

A volte spiccando il volo, a volte soccombendo. Ma sorvolando un cielo pieno di grazie.

Un azzurro da sempre prezioso e trascendente-una sorta di ponte tra la terra e il divino,-capace di svelare l’immenso, ma anche di mostrare l’inafferrabile: tutto ciò che nella realtà non comprendiamo e non possiamo decifrare.

Come dare quindi la giusta importanza a dei corpi che, apparentemente differenti, diventano testimoni della nostra epoca? Osservando come, nel silenzio altamente spirituale del loro esserci, diventino per noi specchio e nel accarezzarci lievissimo, diventino per noi una soluzione che sa di conforto e sostegno attivo, occasione privilegiata per la salvezza della nostra (e non solo) anima nel paradosso del quotidiano.

Perché solo quando «tocchiamo» delle persone che sono «finestre socchiuse per natura» -in cui la luce entra in modo unico ed il buio ha tutta un’altra percezione-ci rendiamo conto di quanto il dolore è pericoloso principalmente perché è socialmente inaccettabile e inaccettato. Chi ama le persone sofferenti? Io vado dicendo in giro, ormai da un pezzo, che il dolore ha bisogno di paladini. Cantanti, politici, guru, tutti a difendere il diritto alla gioia: del diritto al dolore non si cura nessuno. E no, non sono una filo-piagnisteo: ma riconosco ad un dolore che si attiva una forza certamente vitale e degna in quanto tale.

Ma quante persone rispettano davvero l’essere «unica» di una sofferenza, provando stima per la caparbietà con cui la luce entra comunque, tra le persiane chiuse di ogni vita, andando oltre le aspettative? Pare che sia socialmente accettato solo chi, di fronte a un ostacolo dimostra una pazienza pari a Madre Teresa di Calcutta e una capacità di incassare i colpi da far invidia a Rocky Balboa. Per questo io sento una enorme vicinanza a coloro i quali, come è stato detto dal vescovo di Lugano, sentono loro la frase seguente: «Dio esiste, ma non sei tu, rilassati.»

E’ una frase che ci fa capire quanto il nostro essere umani, sia parte della natura di Dio, che ha deciso di farsi carne e di agire. Di essere mani, piedi, di dare il se stesso, nella sua umanità, a parer mio proprio perché la capiva e la amava, l’umanità da lui creata. Proprio perché sapeva quanto fosse difficile e complicato essere se stessi nell’incostanza di un mondo fatto di grandi parole ma che poi si perde, fatto di troppi maestri che bastano a se stessi. Non sono poche le volte in cui mi dico che per fortuna non esiste Uomo che sia anche Dio, ma solo il contrario.

Io credo che il Divino si basi moltissimo sulla voglia di seguirlo, di fare qualsiasi cosa ci dica di fare, senza però  pensare «Signore sia fatta la tua volontà, però se è uguale alla mia, è meglio». Io credo che il Divino non dia importanza all’errore, ma al tentativo di fare bene, baipassando noi stessi. Che gioisca tanto quanto noi, a ogni buon risultato.

Gesù era capace di sentimenti

Mi piace pensare a Gesù come a una persona piena di Dignità, perché non deve essere stato facile insegnare l’amore a chi lo vedeva come un nemico. Mi ha fatto molto riflettere, che ad ogni ascolto attento di parti della sua vita ne emergeva un Gesù che non ha mai avuto paura di mostrare la sua emotività: ha pianto per la morte del suo amico Lazzaro, non ha avuto paura di toccare i malati, e prima ancora di guarirli ha detto di volerlo: posso solo immaginare quanto è stato importante per questi infermi capire che finalmente erano considerati. Un Gesù capace di sentimenti, un Figlio dell’uomo, che teneva conto di quanto fosse importante un sorriso o un pianto, un Gesù che stava insieme, che era parte, senza mai farsi da parte. Mi ha commosso.

Per me non è stato banale capire che anche lui ha scelto i suoi amici, ha sofferto, ha perdonato, e ha pregato, tanto pregato, quando lo stato emotivo che lo affliggeva era tale da essere estremo. Non gli è stata nascosta la tristezza ma, anzi, ci ha dato la prova di quanto sia importante chiedere aiuto al Padre. Non ha mai insegnato il male, la sopraffazione, non ha mai ucciso, ma ha solo vissuto ed amato, guarito e soccorso.E non ha scavalcato nessuno, seppure potesse farlo.

E’ nato in una stalla, ha vissuto in una povera casa, ha cavalcato asini e non carrozze, si é seduto su rocce, ha dato speranza e calore a tutti, asciugando le lacrime dei giusti così come dei peccatori, é stato vicino a coloro i quali erano considerati rifiuto.

Amando e basta. Mostrando i suoi sentimenti per essere parte del sentimento del Bisogno di amore del mondo.

E non è poco, perché implicitamente ci dà un’immagine mai di un Dio cattivo e burbero, severo e cattivo, di cui non sapremmo che farci, ma ci descrive un Dio che si interessa  e si accorge sempre, in modo solerte e delicato, se noi abbiamo il bicchiere vuoto.

Oltre a rispettarci talmente tanto da lasciarci liberi.

E del rispetto anch’io ho fatto il mio metro. Il solo davvero fondamentale per me: io ho stima sia per coloro che della loro fede ne fanno lo scopo primario e di chi al contrario ancora non sa,non riesce o non vuole credere in qualcosa di più grande.

Per quanto mi riguarda la mia fede è un «work in progress», non ha mai smesso di essere presente nella mia vita, anche se mi sono ritrovata a camminare sui carboni ardenti su concetti che avrei giurato fossero cardine di quello che sono. Non ne vado certo fiera, ma è successo e allora cerco di dirmi che «chè è lassù» sa quanto io abbia estremo bisogno della mia dolcezza.

Io ultimamente faccio un gioco, prendo la Bibbia (l’ho ripresa in mano dopo anni) e mi sottolineo tutti i passi che credo possano aiutarmi a migliorare.E a Lourdes mi veniva sempre in mente questa frase di San Paolo «poiché difficilmente qualcuno morirà per un uomo giusto, per un uomo buono forse qualcuno sarà disposto a morire.»

Credo davvero sia vera perché per quanto sia bello il concetto di giusto, quando è applicato senza amore, rimane li, sulla carta. Ma quando facciamo qualcosa perché buono, tutto si colora, prende colore.

In sintesi mi piace pensare che Dio a Lourdes abbia fatto un regalo ai suoi angeli, che sa che cadono, le cui ali pesano, i cui dubbi a volte esistono. E credo che lì proprio lì, li baci tramite la sua mamma, Maria.

E proprio per questo cito  un passo del libro che sto leggendo il romanzo «Cosa diremo agli angeli» di Franco Stelzer: «Diremo agli angeli che abbiamo guardato le vite degli altri fino a rimanerne accecati. Che ci siamo consumati di attenzione, di attrazione irresistibile.
Diremo, tuttavia, che non possiamo sostenere di averle viste veramente. Possiamo, pi
ù che altro, affermare di averle sentite.
Esse ci hanno accarezzato. Sono entrate lentamente in noi. Abbiamo guardato quelle esistenze con tale intensit
à da scoprire soprattutto noi stessi. Abbiamo compiuto esami così meticolosi sugli altri da imparare soprattutto di noi. Da dentro.
Siamo stati voyeurs di tale forza commossa da guardare in direzione inversa a quella abituale.
Abbiamo guardato, abbiamo visto – sempre e comunque dentro di noi.».

E come ultima cosa concludo con un pensiero che mi è nato proprio guardando negli occhi i bambini, le madri, i miei amici del Gruppo Sorriso del pellegrinaggio ticinese a Lourdes, il gruppo composto da ragazzi e giovani diversamente abili.

Che persino quando ho avuto paura la bellezza dei vostri cuori ha spanso il mio bene, sempre di più.

E che mi auguro di seguire Maria sopratutto in questo:

Lei osa,

in cielo come in terra,

lo vedo, non per nulla sta nel mezzo.

Tra la fine del cielo e l’inizio della strada di tutti,

poco più giù.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

5 Settembre 2018 | 18:20
Tempo di lettura: ca. 6 min.
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