Cristina Vonzun

«Il dolore dell’altro non mi è indifferente», alcune parole sulla vicenda di mons. Chiappini

La dolorosa vicenda che ha coinvolto in questi mesi mons. Azzolino Chiappini e un’altra persona si è conclusa mercoledì scorso, con un decreto di abbandono in relazione al procedimento penale a carico del presbitero ticinese in quanto, come si legge nel comunicato delle autorità giudiziarie «non si sono corroborati gli indizi dei reati ipotizzati di sequestro di persona, coazione e lesioni semplici per omissione a danno di una 48enne cittadina straniera dimorante nell’abitazione dell’imputato». Mons. Chiappini che è stato in questi anni un collaboratore competente e stimato di questo inserto Catholica e delle trasmissioni Strada Regina, Chiese in diretta e del sito catt.ch, si è distinto per anni come una delle figure di riferimento nella Chiesa ticinese: prete e teologo apprezzato e stimato. Parimenti sentiamo la necessità di esprimere solidarietà a tutte le persone coinvolte in questa vicenda e che a causa di questi fatti, in qualche modo, hanno sofferto o ancora soffrono. Che dire? I moralismi non servono a nessuno. Serve però non dimenticare per tentare di fare meglio, in tutti gli ambiti. Forse, è proprio vero, come scrive il filosofo ebreo Emmanuel Lévinas che l’umanità comincia quando «il dolore dell’altro non mi è indifferente». Questo accade quando in quel dolore vedo il mio stesso dolore, in altre parole, quando l’altrui sofferenza parla alla mia sofferenza e l’altrui dignità dice qualcosa della mia dignità di persona. Questo atteggiamento, che va oltre l’empatia, può suggerire un agire responsabile verso l’altro: nello scegliere sempre il mezzo giusto, che si tratti di comunicazione, di relazioni e di altre azioni. Quindi questo pensiero di Lévinas può forse aiutarci a non perdere di vista, in ogni campo del nostro agire e nel limite che è di tutti, perché nessuno è perfetto, che – tra scoop e notizie, inchieste e nomi finiti sui giornali, in un’anonimità che non è garantita in Svizzera quando si tratta di personalità pubbliche, come in questo caso,– c’è prima di tutto e sempre il volto dell’altro in gioco, un altro nel quale dovrei vedere me stesso. E quindi c’è sempre uno stile da tenere che dovrebbe fare i conti con questo altro o questi altri come se fossero «altri» me stesso. Il mondo di oggi è frenetico, fatto di decisioni rapide e rapidizzate, dove il tempo per la ponderazione si fa brevissimo e la mediatizzazione molto più elevata rispetto solo a pochi anni fa. La domanda che il filosofo ebreo solleva corrisponde alla richiesta di non perdere di vista la necessità di affermare dentro tutte queste situazioni, oltre i mezzi, le parole, le storie e i giudizi, un’umanità meno fredda e più, appunto, umana.

27 Febbraio 2021 | 16:43
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