Valentina Anzini

Il coraggio di avere speranza

In questo primo contributo voglio fare una riflessione che mi è sorta proprio mentre stavo terminando la stesura della mia tesi nella quale mi sono occupata dello studio del capitolo 1 del libro di Rut. Il capitolo si apre con l’immagine di una famiglia che, a causa di una carestia, emigra da Betlemme nei campi di Moab. La permanenza nei campi di Moab, però, non è positiva per questa famiglia perché, dopo la morte del marito di Naomi, muoiono anche i suoi figli che nel frattempo si erano sposati con due donne moabite, una delle quali è Rut. Siccome a Naomi giunge la notizia che la carestia a Betlemme era finita, essa decide di ritornarci e le sue nuore la seguono. Sulla via per Betlemme, Naomi pronuncia tre tentativi di dissuasione che presentano uno scenario drammatico, privo di speranza perché essa è rimasta vittima dell’ira di YHWH e di conseguenza punita. A questo punto cala il silenzio e a parlare sono le azioni delle nuore: una dà un bacio di addio e l’altra si attacca; una ritorna e l’altra resta; una tace, l’altra esprime un maestoso discorso di fedeltà.

Queste reazioni ci parlano questionandoci: come avrei reagito io? Sarei stata la silenziosa Orpa, o la coraggiosa Rut? Ancora: se la situazione che mi si presenta sembra essere senza speranza come agirei? Riuscirei ad affrontarla restando salda nella speranza, oppure volterei le spalle e cercherei la via più semplice? Di fronte alla possibilità di seguire la suocera Naomi che aveva presentato il Dio di Israele come suo avversario, Orpa si volta e torna presso i suoi dei, più facili da seguire e meno esigenti. Questo è l’atteggiamento che ad ognuno di noi può capitare di assumere: a volte quello che Dio chiede a noi può sembrare incomprensibile, difficile da realizzare se non addirittura impossibile e quindi, mentre la fiducia si affievolisce, scoraggiati, voltiamo le spalle e prendiamo una via che in apparenza ci risulta più favorevole. Tuttavia, anche la strada più cupa e piena di spine, se affrontata con audacia e speranza, può diventare una via luminosa, colma di rose e Rut ne è l’esempio: lei non si volta ma si attacca; non tace ma parla; la sua fedeltà diventa allo stesso tempo la realizzazione della speranza in quanto essa, tramite il suo futuro marito Boaz e il loro figlio Obed, si inserirà nella linea genealogica del re Davide. Lo scenario presentato da Naomi non la scoraggia, lei è fermamente convinta di seguire la suocera e lo esprime con una bellissima professione di fede e adesione: dovunque tu andrai, io andrò e dovunque tu pernotterai io pernotterò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio. Dovunque tu morirai io morirò e là sarò seppellita. (Rt 1,16-17). La forza e l’importanza di questa frase è attestata anche dalla funzione paradigmatica che essa ha assunto per ogni conversione all’ebraismo. Infatti, sono proprio le parole di Rut ad essere pronunciate da ogni aspirante convertito, mentre la reazione di Naomi, la quale voleva scoraggiare Rut a seguirla, è diventata modello per scoraggiare l’aspirante all’adesione e verificare quindi la sua volontà.

L’insegnamento che questo capitolo ci dà è il coraggio di sperare. Rut è colei che mostra come una scelta, che apparentemente può sembrare insensata ai nostri occhi, può essere invece quella giusta da compiere perché in essa si manifesta la volontà di Dio. Rut è colei che, piena di fiducia, ridona la speranza a colei che la aveva persa. Essa ci insegna quindi a non perdere la speranza ed avere una totale fiducia anche nelle avversità, affinché possiamo essere capaci anche noi di una professione di fedeltà a Dio e di dire «resto con Te nel bene e nel male, resto con Te anche quando tutto sembra essere sbagliato e difficile». Questo perché, ogni giorno, è proprio Dio a darci il coraggio di sperare dicendo a ciascuno di noi «dovunque tu andrai, io andrò.«

7 Settembre 2018 | 13:53
Tempo di lettura: ca. 2 min.
fede (114), fiducia (6), speranza (105), vita (45)
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