Francesco Muratori

Selfie... Ergo sum?

Selfie… Ergo sum?

Alzi la mano chi non sa cosa sia un «selfie». Da tempo ormai la mania di farsi un autoscatto, con smartphone o classiche fotocamere, e pubblicarlo sui social network imperversa sul web. Grandi, piccoli, anziani, vip tutti ne sono coinvolti.

Nascono teorie sociologiche e antropologiche sul tema. Diventa dibattito sui media e argomento di studio nelle Università. Ci siamo caduti tutti, o quasi, anche il Papa, i politici. A Obama li hanno vietati, addirittura, in quanto sono stati utilizzati per accostarlo a prodotti da commercializzare. Nei parchi nazionali americani hanno proibito di fare selfie con orsi sullo sfondo, lascio intuire che la dispozione ha evitato qualche decine di morti l’anno.

Di qualche settimana fa la notizia che anche la sonda Philae, atterrata sulla cometa Rosetta, ha scattato il suo primo selfie dal corpo celeste. Il termine selfie è entrato a pieno diritto (?) nei dizionari di mezzo mondo.

Ci sono già tutorial che insegnano come fare i selfie, ovvero persone che consigliano come posizionarsi per rendere meglio la propria immagine. La teoria vuole che sia più raw possibile, ovvero più grezzo, da sembrare reale. Ma cosa c’è di così reale nel mettersi in posa sul lato destro o sinistro, braccio allungato di fronte al viso, leggermente dall’alto verso il basso, tutto a favore di luce e sguardo ammiccante con bocca a papera.

Ebbene sì, bocca a papera. Selfie in bagno, selfie al parco, selfie all’aperitivo, selfie al funerale (non sto scherzando). Selfie nell’intento di lanciare un bacio o selfie mentre si dorme (mentre si finge di dormire). Basta scrivere su facebook o twitter #selfie per trovare circa 235 milioni di foto postate in tutto il mondo. E tutto questo perchè? E’ difficile e forse quasi impensabile dare una spiegazione logica a un fenomeno sociologico che ha al suo interno certamente una componente di moda.  Quello che intuitivamente balza all’occhio è la componente che fa del selfie un’arma di distrazione di massa.

Distrazione dalla realtà. Nei selfie siamo tutti più belli, e in una società che ci spinge sempre di più ad apparire piuttosto che ad essere, ecco servito il piatto forte. Non è necessario ricordare che tutto ciò che sembra perfetto in realtà non lo è, o lo è in parte. Per alcuni è un gioco. Ma nelle tempeste adolescenziali questo punto, crea squilibri tra le aspettative e cio che è. Non c’è da fare la morale o da essere bigotti, in fondo è solo una foto, ma quando si legge tra le notizie che c’è un sito che raccoglie tutti selfie scattati prima di una accidentale morte (causata appunto da un selfie estremo) o i selfie scattati nel campo di concentramento di Auschwitz con sorrisi beffardi, va da sé che la degenerazione è dietro l’angolo. Ne abbiamo davvero bisogno? Abbiamo bisogno di creare artificiosamente diversi noi stessi, diverse immagini di noi? A me ne basta una, che ogni giorno è abbastanza difficile far restare coerente. Al massimo preferisco la stroncatura, crudele, che fu fatta ai danni di Clint Eastwood all’inizio della sua carriera, quando recitava nei cult western di Sergio Leone: «Eastwood ha solo due espressioni: con e senza il cappello».

Articolo pubblicato sulla rivista di Caritas Ticino. Vai al sommario completo.

Giovani con il Papa
26 Febbraio 2015 | 12:00
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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