Denise Carniel

I morsi dello stomaco non sono più forti della fame dell'anima

Questo finesettimana ho fatto una promessa solenne a me stessa, che condivido con chi mi legge, per renderla ancora più vincolante: mi sono detta di non azzardarmi mai a dimenticare il bene. Sì, non voglio scordare mai quanto il mio guardare il cielo mi abbia aiutato nei giorni di vera tristezza, di quanto un tramonto mi abbia sempre ricordato la somiglianza che ha con me quando arrossisco di fronte a una parola gentile, di quanto abbia fatto la differenza aver trovato persone in grado di volermi bene senza chiedermi di cambiare me stessa, ma anzi proteggendo ogni parte di me, con la stessa forza che giuda il mondo e vola, persino quando proviamo a intrappolarla, perché è parte di noi, nella la tenerezza di uno o più cuori che sanno stare insieme, persino commuoversi.

Sì, non voglio correre il rischio di dare per scontato questo, perché dimenticare il bene, per me vorrebbe dire gettare la spugna e non voglio che succeda mai, voglio pensare che è parte della moralità di un cuore buono, un suo valore, considerare la fragilità come un privilegio: chi è fragile impara l’arte – per niente facile – del finire senza perdere nemmeno un pezzettino piccolo piccolo di se stesso, e soprattutto, quella del ricostruire tutto, come da piccoli quando usavamo i lego, mattoncino dopo mattoncino.

Quando ti vuoi accorgere che è finita l’era del dimostrare qualcosa a qualcuno? Che l’unico sforzo che si dovrebbe fare è essere buoni davvero, senza falso buonismo, ed essere felici, ma sul serio? Ed è assolutamente confortante rendersi conto che in questa cosa, gli altri fanno la parte del leone, ma la giungla siamo noi. Deve partire da noi. Perché ci sarà sempre qualcuno più bello, più furbo, più tutto. Ma la vita non è una competizione. È una serie di venti, che a volte sono molesti, altre sono pieni di profumi. A volte ci si spettina. E vince sempre chi sorride, chi ci crede, chi ama, e perde sempre chi, per stare bene, ride non con gli altri, ma degli altri.

E so che sembrano considerazioni fine a se stesse, ma sono nate in me sabato scorso, mentre ascoltavo la musica della filarmonica Mosaico, durante un loro concerto, alla corte del municipio di Bellinzona: buona musica, ottima energia e un corpo di ballo di danza folcloristica colombiana, davvero coinvolgente. Una serata diversa, in cui io, persino sul mio scooter elettrico, ho sfidato il mio senso del ritmo. È stato davvero bello vedere tanta gente, semplicemente stare bene, ad avere un espressione serena in viso.

E sinceramente mi sono messa a guardarle, queste persone – i bambini seduti davanti a me, la mia amica con la quale ho condiviso sorrisi, la signora che ballava con il suo nipotino affianco – e ho immaginato cosa pensassero. E mi é piaciuto pensare pensassero al domani, al futuro.

Perché anche se so che sono tante le difficoltà che mettono confini a desideri e pensieri, so anche che dal momento che le persone avranno speranza, questi muri crederanno.

A volte i mattoni sono davanti a noi, come il marmo, freddo e basta. Ma io so che cadranno, per il bene che si ricorda, come una musica che suona, che toglie il fiato da quanto è vibrante.

E possono cadere solo con bellezza , avendo cura del dettaglio, solo con la voce – seppur debole – di uomini buoni, delle dita di pace delle madri che amano, delle vene dei vecchi pieni di saggezza che sanno vedere che non ci sono muri ; non ci sono mattoni, per coloro che amano oltre il tempo e la forma.

Per questi, c’è solo la meraviglia della musica, che nessuno può imprigionare e non importa loro niente del tempo e degli occhi che non sanno guardare davvero lontano.

Foto: Alessio Lavio.
16 Giugno 2018 | 05:50
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