Ernesto Borghi

Expo2015

di Ernesto Borghi

Ieri, 9 settembre, nell’arco della giornata, sono stato a EXPO2015. Ho visitato 42 padiglioni, assai eterogenei, di Paesi «sviluppati» (non esaltante quello statunitense, molti belli quello francese e quello spagnolo) come di vari altri, africani (un esempio: splendido il padiglione angolano), asiatici (due altri esempi: molto belli i padiglioni dell’Oman e del Quatar) e latino-americani (un po’ deludente quello brasiliano, bello quello cileno e significativi quelli salvadoregno e guatemateco), che sono tra quelli cosiddetti «in via di sviluppo». Purtroppo manca qualcosa di semplice, che sarebbe stato essenziale a livello culturale: un pannello, all’ingresso di ogni padiglione, con una cartina del mondo in cui fosse segnalato il Paese del singolo padiglione. Talora ciò avviene, ma solo all’interno di alcuni padiglioni, mentre avrebbe dovuto essere una scelta generale dell’organizzazione di EXPO. Tante persone certamente hanno nozioni di geografia molto limitate e, anche per chi ne ha di più, taluni chiarimenti sarebbero stati utilissimi.
Le valutazioni sui singoli padiglioni sono più che mai soggettive, anzitutto le mie, ma alcuni dati su EXPO appaiono evidenti:
– l’iniziativa in sé è indubbiamente molto positiva, se non altro per le occasioni di conoscenza interculturale che ha fornito e fornisce a milioni di persone e per la possibilità di far riflettere moltissimi sui temi dello sviluppo economico sostenibile e della lotta contro la fame nel mondo e i criminali sprechi di risorse che ogni giorno avvengono nel mondo, anzitutto a livello alimentare;
– gli sprechi di cibo ad EXPO che molti denunciano, sono fatto molto grave: che ne è dell’idea iniziale di mettere a disposizione di enti assistenziali tutto il cibo avanzato, giorno per giorno?
– ad EXPO il business regna comunque sovrano: appaiono dunque assurde e risibili sia la polemica sollevata nei confronti dei giovani che si erano rifiutati di lavorare per EXPO a condizioni di ipersfruttamento sia la retorica sul tema dei volontari ad immagine e somiglianza di quanto avviene, per es., nelle grandi manifestazioni sportive continentali e mondiali. Ad EXPO gira così tanto denaro e quanto viene messo in vendita è spesso a prezzi così elevati che pensare che ci potessero essere molti volontari e che si potesse pagare tanta gente a condizioni da fame è il tradimento dei valori positivi di carattere umanitario e culturale che si sono voluti e si vogliono giustamente diffondere;
– non si è più capito che cosa avverrà dell’area di EXPO dopo il 31 ottobre e tante saranno le persone che, impiegate in questi mesi da EXPO, al termine resteranno senza lavoro. Gli enti pubblici ne sono consapevoli?
Concludo con una triplice osservazione che mi è stata suggerita proprio dalla visita al padiglione dell’Angola e di alcuni altri Paesi: la necessità di trovare un equilibrio tra valorizzazione della tradizione e apertura all’innovazione è un’esigenza che chiunque oggi, quale che sia la sua professione e il suo stato di vita, deve considerare assai attentamente. Di fronte alla poliedricità strabocchevole di valori, culture e strumenti che EXPO dimostra nessuno può pensare di dare ad altri indicazioni ultimative e onnicomprensive a livello culturale e sociale. D’altro canto ciascuno di noi è chiamato a chiedersi che cosa oggi sia veramente importante dei propri valori socio-culturali per entrare in un confronto interculturale, interreligioso puntando a cooperare ad una crescita umanistica autentica e complessiva di relazioni, rapporti, scelte sociali e scelte politiche. La bioetica in senso ampio e il rispetto dell’ambiente appaiono tra i campi più importanti in questa prospettiva. Quanto ho qui scritto è banale o illusorio? Penso e spero di no, ma sarei lieto di conoscere il parere di coloro che leggessero queste mie righe…

10 Settembre 2015 | 09:39
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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