Cristina Vonzun

Chiesa e società: osare il nuovo

«Siamo gli ultimi cristiani?” si chiede Enzo Bianchi, in un interessante articolo ripreso dal nostro sito. Nessuno credo che abbia la risposta pronta, ma forse questi potrebbero essere  «gli ultimi tempi» di un certo tipo di cristianesimo. Oggi viviamo un tempo caratterizzato da tre caratteristiche di fondo, magnificamente messe a tema da un grande intellettuale  recentemente scomparso: Zygmunt Bauman: liquidità, velocizzazione e frammentarietà esistenziale. La vita oggi è così: liquida, quindi fatta di relazioni che non riescono a posare su nulla di stabile perché, assoggettati al processo di velocizzazione, i modi di agire si modificano continuamente.

Papa Francesco nella sua Enciclica Laudato si’, al numero 14 parla del fenomeno usando l’espressione (dallo spagnolo) «rapidizzazione».  È la nuova epoca di un’innovazione rapida e continua dentro la quale tutti siamo immersi e nella quale cerchiamo, nostro malgrado, di vivere rapporti famigliare stabili, educare i figli, lavorare e dedicarci ad un’esistenza fruttuosa. L’innovazione rapidissima però ci costringe ad uscire costantemente in strada, a muoverci perennemente e a tutta velocità nel lavoro, nei consumi, nella ricerca di novità tecnologiche per non essere scartati, tanto è che la metafora di una gara sportiva ad eliminazione del più lento, sembra essere purtroppo adeguata a descrivere gli attuali tempi. I modi di agire stessi e le relazioni si modificano prima che riescano a consolidarsi in abitudini. Forse questo mondo che corre, dove solo il nuovo conta ma conta solo per «x» breve tempo perché poi  scade, dove tu corri perché tutto attorno a te è in movimento e come tale è fluido, dove devi -per sopravvivere- trasformare la vecchia parola «stabilità lavorativa» in «multilavoro instabile» (che è il volto elegante di un precariato caratterizzato dal moltiplicarsi  di contratti di lavoro temporanei o a tempo parziale), ebbene tutto questo ha -secondo me- un’inevitabile ricaduta sul modo di vivere il cristianesimo, perché se il cristianesimo vuole intercettare la domanda di senso e il desiderio di bellezza, bontà e verità del cuore umano, deve chiedersi come porsi in dialogo con la gente, esattamente dentro a questa realtà molto concreta, determinata da questo tipo di cambiamento d’epoca e non in un altro contesto, che è ormai tramontato.

Guardando alla sua storia, il cristianesimo può trovare un buon esempio: un aspetto costitutivo dell’intelligenza cattolica dei primi secoli fu quello di saper dialogare  con le istanze e il modo di vivere dei popoli dell’impero romano, con le culture del tempo e le loro domande, con il linguaggio e le espressioni che usavano. L’annuncio evangelico nato in ambiente ebraico è  diventato capace di sintesi culturali con il mondo greco-romano ma anche barbaro. Le stesse strutture della Chiesa hanno saputo «ibridarsi» con forme organizzative della vita dell’impero, insomma il cristianesimo ha saputo e capito come fare ad essere diffusivo in quell’epoca, «inculturandosi» e sapendo prendere a prestito il meglio del suo tempo.

E oggi? La Chiesa  inevitabilmente è chiamata ad interrogarsi su come aiutare la gente a vivere la fede, a trovare Gesù Cristo in questo mondo che è veloce, liquido, dalle identità frammentate e molteplici, ipotizzando vie e modalità nuove, rischiando il cambiamento. Dovrà, per forza di cose, approfondire come annunciare la fede usando un linguaggio che sia comprensibile oggi. Bianchi scrive che un segno è l’intimismo spirituale che caratterizza il modo in cui la maggioranza della gente oggi pratica la fede. È un dato di fatto dentro l’epoca liquida, veloce, frammentata che la religione la costruisci e ritagli per conto tuo, come se fosse un vestito cucito  su misura a partire dalla tua vita e dalla tua agenda. Pensiamo al tempo che manca sempre, alla domenica diventata giorno lavorativo, magari per un secondo lavoro visto che il primo, in diversi casi, non basta più per sopravvivere. Così, una società in cui si muovono persone frammentate e atomizzate non può che generare una ricerca religiosa come quella descritta da padre Bianchi. Ma, preso atto di tutto questo, se la Chiesa vuole sperare di intercettare la domanda della gente, non penso possa usare le stesse formule di un tempo.

C’è bisogno di «novità» nel senso di una nuova «inculturazione» nel contesto odierno, magari coraggiosa e riformista. La Chiesa, pare a me, ha bisogno probabilmente di riflettere su ciò che esiste e sul suo modo di fare, su come parla e come si pone, per rivedersi alla luce del cambiamento d’epoca che stiamo vivendo. È quasi costretta a farlo se vuole raggiungere veramente tutta quella gente in ricerca che, di fatto, esiste. D’altronde se vuole essere la Chiesa  con «l’odore delle pecore» non del passato ma del 2018 liquido, forse occorre anche pensare se e come si può rinnovare la proposta di questo ovile.

La chiesa San Giorgio di Morbio Inferiore.
16 Gennaio 2019 | 18:23
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catholica (82), chiesa (578), dialogo (112)
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