Italo Molinaro

Anno Santo, porte che aprono

di Don Italo Molinaro

Degli amici non praticanti mi hanno chiesto: «Ma cosa è questo anno della misericordia? Cosa è la porta santa? Perché passarci sotto?» Se penso all’ultimo giubileo, quello del 2000, secondo me resterà memorabile solo per le grandi richieste di perdono di Giovanni Paolo II. Per il resto fu l’occasione per eventi di massa di ogni tipo, anche belli, centrati soprattutto a Roma, senza però particolari conseguenze sulla Chiesa o sulla società (a parte forse in parte il tema della remissione del debito). Anche il vecchio nucleo dei giubilei, le indulgenze, sono ormai improponibili: che significa compiere azioni per vedersi rimessa la pena dei propri peccati nell’aldilà? Tra l’altro solo qualche esaltato pro pena di morte continua oggi a sostenere la pena come punizione. La psicologia e la pedagogia dicono altro. Pensare che solo il Padreterno sia un nostalgico dei castighi mi lascia alquanto perplesso.

Allora che cosa resta di un anno santo? Credo che il giubileo alla fin fine possa semplicemente essere l’essenza del cristianesimo come tale. Cioè l’annuncio che tutto il tempo umano è ormai «anno di misericordia». Infatti con Gesù, il Padre ha definitivamente riversato sull’umanità la sua misericordia infinita, e mai più farà marcia indietro. È quindi presente tra noi un perdono previo, un Dio umile ma tenace che vuole farsi nostro prossimo, nella speranza che questo ci converta. Quindi se ha senso un anno santo, ce l’ha per ridire con rinnovata forza questa iniziativa unilaterale, eterna e gratuita di Dio per ogni creatura.

La novità siamo noi umani, è il mondo: a che punto siamo con la tenerezza, la giustizia, la misericordia, la pace, la verità? Un anno santo ci è dato per riscoprire questi doni gratuiti di Dio, per farlo tutti insieme, e per rilanciare la nostra vita in base a essi. Quindi: accogliere il dono che ci converte.

Passare una porta, compiere le opere di misericordia… sono «solo» azioni educative, per trasformarci un po’ di più a immagine del Dio misericordioso. E forse all’ordine del giorno potremmo porre delle domande: quanto mi sento avvolto dall’iniziativa misericordiosa di Dio? Quanto le mie relazioni, il mio modo si stare con gli altri, di trattare gli altri, è ispirato alla misericordia che ricevo senza misura? Quanto la struttura della Chiesa riflette questa misericordia? E quanto i meccanismi sociali a cui io contribuisco ogni istante si stanno trasformando per essere a immagine della misericordia che celebriamo?

Sono domande che richiedono approfondimento. Il pericolo infatti è rimanere a livello di una predicuzza. O di ritenere che in fondo abbiamo già dato, che siamo già avanti. Hanno ragione quindi in Vaticano a ritenere che, proprio in questo clima di violenza internazionale, l’anno della misericordia è ancora più necessario! Ma la porta più santa non potrà cambiare chi non si sente rimesso in discussione nel suo vissuto e nella sua personalissima attualità.

E anche a livello ecclesiale mi aspetterei che la misericordia fosse all’ordine del giorno come criterio in base a cui rivedere ciò che siamo, ciò che facciamo e come lo facciamo. Non è più tempo di grandi eventi, ma di grandi slanci sì! E gli slanci nascono dall’incontrarci, dall’ascoltarci, dal dirci le cose che ci stanno a cuore. Solo così l’anno santo diventa vita santa, vita nuova, vita misericordiosa. Altrimenti resta un impegno in più nell’agenda, da spuntare e voltare pagina.

23 Novembre 2015 | 07:00
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