Ernesto Borghi

Alle radici delle culture ebraica e cristiana – Aggiornamento

di Ernesto Borghi

Eccomi, dal 24 giugno, per l’ottava volta in Israele/Palestina/Terra Santa (sei volte negli ultimi 4 anni e mezzo). E’ uno dei momenti qualificanti dell’attività 2015-2016 dell’Associazione Biblica della Svizzera Italiana. Questa volta guido culturalmente, sino al 29 giugno prossimo, un viaggio alle radici delle culture ebraica e cristiana, dall’Antico al Nuovo Testamento. Il programma che stiamo seguendo si trova sul sito www.absi.ch Il gruppo dei tredici partecipanti è eterogeneo per provenienza geografica, età (dai 25 agli 86 anni) e formazione culturale e professionale. Il deserto del Neghev ha iniziato ad accoglierci proprio il 24 pomeriggio ed è stato  nostro terreno di scoperta e riflessione per tutta la giornata del 25 giugno. Nella cornice desertica, abbiamo considerato testi sull’esperienza fondativa della cultura ebraico-giudaica, biblica ed extra-biblica: dalla schiavitù alla liberazione, dall’esodo alle tavole della Toràh. Non è possibile vivere tutto ciò nel Sinai per le note ragioni di sicurezza, lo faremo, in modo altamente simbolico, nel Neghev.

E’ stato un lungo, interessantissimo e stimolante percorso da nord a sud sino a trenta chilometri a nord di Eilat, da Miqpe Ramon sino a Timna. Decine e decine di chilometri di paesaggio desertico, nella lettura e approfondimento dei testi di Genesi sulle figure di Abramo, Isacco e Giacobbe e in quelli del libro dell’Esodo su quella di Mosè, dal roveto ardente alla liberazione esodica sino al dono delle dieci parole e della Toràh sul monte Sinai: questo abbiamo vissuto con crescente partecipazione. Il contrasto tra l’azzurro sconfinato del cielo e la vividezza multipla del colore delle rocce scavate dall’erosione di un arco di tempo enorme, i resti di un luogo consacrato alla dea pagana Hathor: sono tutte impressioni visive intensissime che, associate alla riflessione sui fondamenti biblici del rapporto tra Dio e gli esseri umani, tra il Signore Dio della rivelazione biblica dell’Esodo e chi abitò il XII secolo a.C. e il VI-V sec. a.C., quando questi testi biblici giunsero a redazione finale, hanno determinato, alla fine, una necessità spirituale e culturale: la lettura, prima di lasciare Timna, del Salmo 8, quel componimento poetico che recita, nella mia traduzione, tra l’altro, come segue: «Signore nostro Dio, quanto è splendida la tua presenza su tutta la terra!…Che cosa è l’essere umano perché te ne ricordi, il figlio dell’essere umano perché te ne curi? Eppure l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato». Nel segno della ricchezza di dieci preziosi assi etici fondamentali per la libertà di tutti – le dieci parole di Esodo 20/Dt 5 -, nella prospettiva di un Dio, quello di cui parla la Toràh e di cui parlano quasi tutti gli altri 34 libri della Bibbia ebraica, è possibile una duplice domanda: quanto sentiamo il Dio della rivelazione del Sinai come motore di libertà per la nostra vita quotidiana? Quante volte ci è stato presentato molto più come un Signore da obbedire, piuttosto che come un Padre con cui cercare di entrare in relazione d’amore?

 

La terza giornata di questo viaggio di studio, ricerca culturale e approfondimento spirituale è stata vissuta tra Masada, Qumran, il museo del Libro a Gerusalemme e una prima visita notturna, dai connotati inattesi, al Santo Sepolcro gerosolimitano.

  • La fortezza di Masada, che si staglia nella zona del Mar Morto con la sua imponenza strutturale, è uno di quei luoghi in cui si «tocca ancora con mano» dopo un ventina di secoli l’epopea sanguinaria e complessa di Erode il Grande e dello scontro tra una delle costole più radicalmente giudaiche a livello culturale e religioso (il gruppo dei sicari) e gli invasori romani. Vedere quanto resta dei tre straordinari palazzi sovrapposti fatti costruire dal sovrano che è noto, biblicamente parlando, per l’episodio dei Magi e per la cosiddetta «strage degli innocenti» (cfr. Mt 2,1-23), fa riflettere sia sull’eccezionalità anzitutto architettonica dell’impresa sia sul disprezzo totale del valore della vita umana, che contraddistingueva largamente varie epoche prima della nostra, a cominciare dall’antichità. Quante persone saranno morte di fatica nella costruzione di questi edifici è difficile stabilire (e comunque, quello che è ancora più tragico è che, oggi, in vari luoghi del mondo, la vita umana non è considerata molto di più di quanto avvenisse allora).

Abbiamo riflettuto, rispetto allo scontro tra sicari e romani, sull’importanza del racconto di Giuseppe Flavio nella sua opera «La guerra giudaica» (cfr. VII,8-9), l’unica fonte antica su questo episodio (egli racconta del suicidio di massa delle quasi mille persone rifugiatesi lì, suicidio realizzato per non cadere nelle mani dei romani giunti ad espugnare la fortezza), e sulla fondatezza storico-archeologica di tale racconto, messa in discussione, con argomenti significativi, da vari studiosi, anzitutto ebrei, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso. Nel racconto dello storico antico suscitano comunque un certo effetto – e abbiamo letto sul posto anche questo testo – le parole del discorso con il quale, secondo la narrazione di Giuseppe Flavio, la guida di questo gruppo di ebrei radicali, Eleazar, invita i suoi compagni a darsi la morte: «Muoiano le nostre mogli senza conoscere il disonore e i nostri figli senza provare la schiavitù, e dopo la loro fine scambiamoci un generoso servigio preservando la libertà per farne la nostra veste sepolcrale. Ma prima distruggiamo col fuoco e i nostri averi e la fortezza; resteranno male i romani, lo so bene, quando non potranno impadronirsi delle nostre persone e vedranno sfumare il bottino. Risparmiamo soltanto i viveri, che dopo la nostra morte resteranno a testimoniare che non per fame siamo caduti, ma per aver preferito la morte alla schiavitù, fedeli alla scelta che abbiamo fatta fin dal principio».

  • A Qumran, sulle rive del Mar Morto, il luogo ove, nel 1947, vi è stata una delle scoperte archeologico-letterarie forse più significative di ogni tempo, abbiamo potuto considerare sia quanto concerne il gruppo socio-culturale giudaico degli esseni, con la loro attenzione puristica ed esclusivista della fede ebraica e della vita fondata su di essa, sia quanto degli eventi fortuiti spesso, nella storia, possano dare occasione per scoperte di valore culturale ed umano inestimabile. I manoscritti ritrovati nelle undici grotte di questa zona, hanno costituito e costituiscono strumenti importantissimi per lo studio della Bibbia ebraica/Primo Testamento, di vari testi neo-testamentari, di non pochi apocrifi primo-testamentari e di numerosi testi riguardanti la vita del gruppo essenico che a Qumran fu presente dal 100 circa a.C. al 68/69 d.C. Guardandoci intorno, oltre a considerare la desertica severità del luogo, abbiamo gettato lo sguardo al di là del Mar Morto, scorgendo, vetta verdastra tra altre incolori, la cima del Monte Nebo, dove la Bibbia colloca il momento in cui Mosè, impossibilitato ad entrare nella «Terra promessa» potè scorgerla da lontano (cfr. Dt 34,1ss). Anche questo aspetto è stato un momento di significativa emozione sia per me che per altri.
  • La visita al Museo del Libro, a poca distanza dalla sede della Knesset, il parlamento israeliano, ha completato la componente storico-letteraria ed archeologica della nostra giornata. Il grande plastico, in scala 1:50, collocato all’inizio del museo, che rappresenta la Gerusalemme di molti secoli fa, ha consentito anzitutto a chi tra noi è in Israele/Palestina per la prima volta, di farsi un’idea effettiva di luoghi, spazi, configurazioni. Poter vedere da vicino, sia pure in copia, il rotolo del libro del profeta Isaia e frammenti di altri, biblici e propri della comunità di Qumran, ha messo in condizione di concretizzare questa attenzione alle testimonianze della cultura manoscritta antica a cui si è ripetutamente fatto riferimento in questi giorni e non solo nella visita a Qumran.

Dopo cena molti di noi hanno pensato di fare quattro passi nella città vecchia di Gerusalemme. Ci siamo trovati al Santo Sepolcro che ci ha presentato un’immagine di sé assai nuova per coloro che già in passato l’avevano visitato: pochissime persone presenti, vari operai all’opera per notevoli restauri della zona della lastra della deposizione, un settore da molti decenni puntellato contro i crolli possibili e che si riteneva non potesse assolutamente essere restaurato, viste le difficoltà di rapporto tra le comunità religiose che si spartiscono, da tanto tempo, la gestione del Santo Sepolcro stesso. Toccare con mano la roccia del Golgota, meditare e/o pregare dinanzi alla lastra della deposizione: ecco due esperienze che, a detta dei nostri partecipanti, credenti e non credenti, sono state per tutti molto significative e che sono state condotte nei due luoghi più sostanzialmente storici del Santo Sepolcro rispetto a Gesù di Nazareth e all’epilogo della sua vicenda terrena. La nostra giornata si è quindi conclusa già alle radici della fede cristiana. Vi torneremo oggi, nel quadro della nostra visita ai luoghi santi fondamentali di questa eccezionale città.

 

La quarta giornata del nostro viaggio «Alle radici delle culture ebraica e cristiana» è stata vissuta interamente a Gerusalemme, una città tanto ricca di storia quanto di contraddizioni. Il fatto che nella parola «Gerusalemme» vi sia la radice della parola «shalom» (= pace nel senso di armonia e positività globale ed intensa) non significa che questa, come è noto, sia stata la condizione costante della sua vita.
Dal possibile luogo del Cenacolo, con la lettura e analisi sintetica delle parole dell’Ultima Cena in Marco, Matteo, Luca e 1Corinzi, all’area archeologica situata alla base delle mura della spianata delle moschee, dunque della base muraria su cui si trovava l’area del Tempio, ci è stato possibile cogliere due aspetti qualificanti della fede e vita cristiana prima ed ebraica poi. Seduti sui gradoni avendo alle spalle le porte murate dell’accesso all’area del Tempio, abbiamo guardato verso la zona della Gerusalemme davidica, leggendo in forma commentata alcuni passi di 2Samuele e 1Re relativi a Davide, con particolare riferimento a 2Samuele 11-12 (la vicenda di Davide con Betsabea e l’intervento narrativo splendido del profeta Natan) e a 2Re 2 (le ultime parole di Davide vicino alla morte rivolte al figlio Salomone). Il pomeriggio è stato concentrato, in modo globale e «visivo», sulla presenza di Gesù di Nazareth a Gerusalemme, dall’ingresso «trionfale» alla sua predicazione sino alla morte di croce. Tradizione biblica e verità storiche sono state evidenziate, nei limiti possibili in base al tempo a disposizione, avendo davanti agli occhi, dalla zona antistante la chiesa del «Dominus flevit», lo splendido, articolato insieme della città, e dall’area del Getsemani il momento tragico della decisione della vita per il Nazareno. La giornata si è conclusa con la visita al Santo Sepolcro, ivi compresa la meditazione davanti alla lastra del sepolcro di Gesù, e quella serale al muro occidentale, ricco di uomini e donne in preghiera e di tante bambine e bambini gioiosamente impegnati a correre e a giocare. Il Santo Sepolcro, nella sua complessità, è costruito intorno ad una roccia che trasuda sofferenza d’amore: quella di Gesù crocifisso. Quanto resta della base di sostegno dell’area del Tempio testimonia l’importanza vitale della preghiera per l’identità religiosa e culturale degli stessi ebrei contemporanei. E in questo quadro i musulmani stanno vivendo la quarta settimana di Ramadan e proprio mentre assistevamo alla preghiera di qualche centinaio di ebrei ed ebree al muro occidentale, un muezzin dalla voce penetrante ha invitato i fedeli alla preghiera…
C’è sempre da domandarsi quanto i cristiani siano consapevoli dell’amore offerto dal Nazareno sulla croce e quanto gli ebrei siano consci che il loro Dio, quello delle tavole del Sinai, non invita all’esclusivismo e all’arroganza, ma alla responsabilità d’amore anche verso chi ebreo non è…E, comunque, è proprio impossibile capire da parte di ebrei, cristiani e musulmani che si è fedeli al proprio Dio soltanto se si dialoga e ci si rispetta effettivamente?

 

La quinta giornata di questo nostro viaggio 2016 in Israele/Palestina ha conosciuto, all’inizio, un momento di grande impatto anche emotivo: la visita, non prevista dal programma iniziale, a Betlemme, alla «Crèche». Successivamente vi è stata l’immersione nel territorio e nella cultura della Galilea, dal monte Tabor, al monte delle Beatitudini, allo scavo archeologico di Magdala sino alla navigazione fino a Tiberiade.

«»¢ Entrare a Betlemme, passando il muro che serpeggia per molti chilometri, isolando i palestinesi dagli israeliani, è un’esperienza di enorme, tragico rilievo.

Al di là di qualsiasi valutazione politica, che ognuno di noi, cittadino dell’Occidente euro-atlantico, deve esprimere con grande cautela, visto anzitutto che viene da tutt’altro contesto sociale e culturale, questo strumento di plumbea separazione rende la vita di centinaia e centinaia di migliaia di persone difficilissima nel presente e assai oscura per quanto concerne le prospettive future. Di chi? In particolare delle giovani generazioni, che non hanno possibilità di formazione scolastica e universitaria paragonabili a quelle dei loro coetanei israeliani e non riescono, salvo eccezioni, a immaginarsi un avvenire diverso dal triste presente.

Inoltre, delle campagne di comunicazione, non corrispondenti alla realtà delle cose, ingenerano in Italia e in Europa l’idea che Israele e la Palestina siano luoghi globalmente pericolosi, dai quali occorre stare alla larga. Il risultato è anche l’impoverimento progressivo di tutti coloro – per es. gli abitanti di Betlemme – che dal turismo traggono la fonte basilare di sostentamento. Se israeliani e palestinesi non troveranno una soluzione che faccia evolvere la tragica condizione attuale – 4 milioni di palestinesi in 7000 chilometri quadrati, 8 milioni di ebrei in ventimila chilometri quadrati, un «occupante» (gli israeliani), un «occupato» i palestinesi – la situazione complessiva, in uno scenario, quello mediorientale, estremamente complesso per molte altre ragioni contingenti, non potrà che farsi sempre più dura e violenta. E la «Crèche», un istituto fondato e gestito dalle suore di S. Vincenzo francesi, accoglie dal 1996 bambini, prevalentemente di origine musulmana, spesso anche disabili o abbandonati, e donne di religione islamica emarginate dalle loro famiglie per ragioni anzitutto sociali e culturali. In questa zona del mondo questa è una delle pochissime strutture attive. Si tratta di un’azione sanitaria ed educativa che non guarda all’identità religiosa o culturale  di chi accoglie, ma alle loro esigenze oggettive prima di sopravvivenza e poi di crescita psico-affettiva. Questa realtà socio-assistenziale ha toccato profondamente molti di noi e credo che, in viaggi di taglio radicalmente culturale come i nostri dell’Associazione Biblica della Svizzera Italiana, anche questa attenzione sociale sia parte integrante di una formazione/informazione umanistica complessiva a cui badiamo da sempre.

«»¢ L’episodio evangelico della trasfigurazione (cfr. Mc 9,2-8 e paralleli), collocato sul monte Tabor da testimonianze risalenti al III secolo d.C., non si può comprendere al di fuori della volontà di sottolineare l’importanza culminante di Gesù, figlio della cultura giudaica, dalla luminosità delle rivelazione divina al di là di quanto presentabile di tutto ciò da parte della Toràh di Mosè e della parola dei profeti. La luminosa chiesa dell’architetto italiano Barluzzi, circondata dallo splendido, storico scenario della pianura di Esdrelon, tanto carica di storia bellica ebraica quanto di fertilità naturale antica e odierna, ci ha accolto, facendoci riflettere, tramite i quattro mosaici della cripta, sull’essenza dei misteri della fede cristiana: incarnazione, nascita, eucarestia, redenzione. Il fatto che, su questa altura galilaica si trovi un ristorante, accogliente e qualitativamente ragguardevole, del gruppo italiano «Mondo X», dedito da decenni al recupero di tossicodipendenti e di altre persone socialmente emarginate, è importante sotto vari punti di vista, primo fra tutti, mi pare, il fatto di essere un tentativo di interpretare le parole divine di Mc 9,7 (»Questi è mio Figlio, l’amato: ascoltatelo!») come un invito a esprimere una solidarietà umana che ricostruisca la dignità e dia un futuro a persone che avevano perso la loro identità e credevano di non disporre più di un avvenire. Di qui il passo verso le beatitudini evangeliche di Mt 5,3-16 e Lc 6,20-26 è stato non solo geograficamente agevole. In un luogo storicamente per nulla collegabile alle località dove il Nazareno può avere pronunziato quelle parole, abbiamo riflettuto sul contenuto dei testi in sé sino alle loro possibili ricadute esistenziali contemporanee, focalizzando l’attenzione sulla scelta cristiana di «essere poveri per lo spirito» e «sale della terra/luce del mondo». La scarsità della presenza di viaggiatori italiani/italofoni da molti mesi a questa parte è stata sottolineata da una delle suore del luogo, conseguenza questa sia della crisi economica sia dell’insensata informazione occidentale che ritiene possibile terreno di attacchi terroristici l’insieme del territorio di Israele/Palestina.

Dallo splendido panorama offerto dal lago di Tiberiade siamo passati agli scavi di Magdala, ove sono stati ritrovati i resti di una sinagoga del tempo di Tiberio (14-37 d.C.), in cui il Nazareno potrebbe avere anche predicato. Da questo suggestivissimo scenario siamo passati ad una navigazione di circa un’ora su questa distesa d’acqua dolce, uno dei pochi luoghi che lo stesso Nazareno ha visto in modo sostanzialmente analogo a noi e la risorsa idrica più importante di tutto il territorio israelo-palestinese. Abbiamo considerato brevemente non i passi evangelici della «tempesta sedata» o del «camminare di Gesù sulle acque», ma il brano di Gv 20 inerente la pesca miracolosa a seguito dell’apparizione del Risorto, con i suoi 153 pesci, simbolo della totalità delle specie ittiche esistenti al mondo secondo la cultura antica, dunque della possibilità che tutta l’umanità possa far parte della «pesca» dei discepoli del Nazareno risuscitato.

Il clima di giocosa cordialità che ha contraddistinto anche questo momento lacustre ci ha accompagnato sino al termine di questa giornata, così varia ed intensa, contraddistinta dall’invito a guardare, nella vita, in tutta libertà, dalla terra al cielo, dall’antichità delle culture ebraica e cristiana al nostro tempo, dall’intimo del nostro cuore alle esigenze degli altri esseri umani, non come volontarismo etico suscitato dall’esterno, ma come opzione intima della nostra personale cultura ed umanità.

27 Giugno 2016 | 07:00
Tempo di lettura: ca. 11 min.
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