Tortura, se il mondo non si sdegna più

di Andrea Scutellà

Repubblica 2 aprile 2015 

 

Correva l’anno 1976 quando Juan Ernesto Mendez fu arrestato dal regime militare argentino. Il generale golpista Jorge Videla riteneva che fosse un crimine difendere in tribunale i diritti dei prigionieri politici. Mendez restò in carcere per 18 mesi e fu torturato dalla forza pubblica. Nel 1978, l’anno successivo al suo rilascio, in Argentina si sarebbero giocati i mondiali della vergogna, sotto il silenzio complice della comunità internazionale. Per Amnesty International Mendez fu il primo prigioniero di coscienza.

 

«Investigare, perseguire, punire».

Oggi, dopo il servizio nella squadra legale di Human Rights Watch, Mendez è Relatore speciale dell’Onu sulla «tortura e altre pene o trattamenti inumani, crudeli o degradanti». Stende il suo sguardo sulle prigioni di tutto il mondo, parla con i detenuti, esamina i segni sulla loro pelle, annota le pratiche più violente. «Dopo tutti questi anni – risponde alla nostra mail – siamo ancora lontani dall’abolire la tortura nel mondo. Una delle aree in cui registriamo le maggiori criticità nell’attuazione delle chiare ed esistenti norme internazionali è quella dell’obbligo di investigare, perseguire e punire la tortura».

 

Dolore fisico e mentale.

Certo, prima di indagare bisogna mettersi d’accordo. Che cos’è, infatti, tortura? C’è differenza tra tortura e trattamenti inumani, crudeli o degradanti? «La definizione di tortura nel diritto internazionale allude a ‘.. il dolore e la sofferenza, sia fisica che mentale …’ Ne consegue che la tortura psicologica è proibita dal diritto internazionale, ed è definita da atti che infliggono dolore mentale o la sofferenza di una certa intensità». La tortura si nasconde anche in punizioni come l’isolamento, considerate legittime «per mantenere l’ordine nelle carceri o, nel caso di protezione di alcuni detenuti», ma che attraversano il confine dei trattamenti inumani, crudeli o degradanti, quando vengono applicate «ai bambini (sotto i 18 anni), alle persone con qualsiasi disabilità mentale e alle donne con bambini. Per gli adulti sani, invece, accade se l’isolamento è prolungato o indefinito».

 

Misurare la sofferenza.

Da qui la ricerca di un’impossibile unità di misura di un’esperienza necessariamente personale, basata sulla percezione del singolo detenuto. «L’isolamento diventa tortura quando il dolore e la sofferenza è più intensa che per le punizioni crudeli, un fatto che dipende anche dall’esperienza soggettiva della vittima. Casi di decenni di isolamento, come abbiamo visto negli Stati Uniti, certamente sono trattamenti inumani e, in alcuni casi, tortura». Non ci può essere, però, secondo Mendez, un indice che permetta di misurare il grado di tortura presente in una nazione. «Sarebbe molto difficile fare confronti, perché le pratiche che sono ritenute tortura o trattamento inumano possono variare notevolmente. Così si dovrebbe confrontare, per esempio, il water-boarding con l’isolamento, o con la pena di morte per decapitazione o folgorazione».

 

Le «indisponibili» prigioni a stelle e strisce.

Il requisito base per il rispetto dei diritti umani dei prigionieri è la piena accessibilità delle carceri agli ispettori Onu. Alla presentazione del suo ultimo «Rapporto sulla tortura e altre punizioni inumane, crudeli o degradanti» il Relatore speciale ha denunciato con forza l’atteggiamento ostile degli Usa in risposta alla sua richiesta di visitare le prigioni federali. «Nel mio ultimo contatto con il Dipartimento di Stato mi è stato risposto che le prigioni federali sono ‘indisponibili’. Ho cercato chiarimenti, invano. Secondo le norme applicabili alle visite delle campagne delle Nazioni Unite, devo essere in condizione di decidere da me quali strutture visitare. Quindi la decisione di impedirmi l’ingresso in un’intera categoria di edifici non sarebbe accettabile».

 

L’inaccessibile Guantanamo.

Il colmo dell’indisponibilità si raggiunge con il centro di detenzione di Guantanamo, chiuso in diretta mondiale da Barack Obama nel 2009 e che ancora, tuttavia, continua ad essere operativo. «Quello che so della situazione a Guantanamo  –  spiega il Relatore  –  lo ho appreso dalle fonti pubblicate. Ho cercato di visitarlo da quando sono diventato Relatore speciale. Nel 2012 ho ricevuto un invito dal Dipartimento della Difesa, ma in termini che ho dovuto declinare: mi hanno proposto un briefing da parte delle autorità carcerarie e la visita di alcune parti della prigione. Nessuna conversazione con i detenuti sarebbe stata permessa: né monitorata, né non monitorata». Termini radicalmente differenti da quelli di un mandato stabilito dal Consiglio dei diritti umani per tutte le missioni dei Relatori speciali. «Così ho rifiutato, anche se continuo a richiedere una visita in condizioni accettabili».

 

L’Italia non ha una legge sulla tortura.

«Ogni Stato parte prende provvedimenti legislativi, amministrativi, giudiziari ed altri provvedimenti efficaci per impedire che atti di tortura siano compiuti in un territorio sotto la sua giurisdizione». Così recita l’articolo 2, al primo comma, della Convenzione di New York del 1984 contro «la tortura e altre pene o trattamenti inumani, crudeli e degradanti». Un trattato a cui l’Italia ha aderito nel 1989 e che, tuttavia, non ha trovato ancora asilo nel nostro diritto. «Tutti gli stati che hanno firmato la Convenzione  –  spiega Mendez – sono obbligati a modificare la loro legislazione penale per rendere la tortura un crimine punibile in conformità alla sua gravità (in genere paragonabile ad un semplice omicidio)».

 

Il testo «devitalizzato» e bloccato alla Camera. In realtà un testo di legge, a prima firma del presidente della Commissione Diritti Umani del Senato Luigi Manconi, c’è. Ha iniziato il suo complesso iter il 22 luglio 2013 è stato approvato nella camera alta del Parlamento il 5 marzo, da allora, però, giace nei polverosi cassetti della Camera dei deputati. Inoltre, per ammissione dello stesso Manconi, si tratta di una legge «devitalizzata» da un emendamento approvato in fase di discussione «che prevede la reiterazione degli atti di violenza, cioè il fatto che debbano essere ripetuti perché si dia la fattispecie della tortura» e che vede il reato non come «proprio ma comune, quindi imputabile a qualunque cittadino e non solo ai titolari di funzione pubblica», a differenza di quanto previsto dai trattati internazionali. Le condotte omissive, inoltre, non sono perseguibili.

 

La responsabilità dei pubblici ufficiali.

«La definizione nella Convenzione richiede anche che la tortura sia commessa da un pubblico ufficiale o di una persona che agisce sotto la tolleranza o l’acquiescenza di un pubblico ufficiale. Certo se i paesi che aderiscono vogliono criminalizzare anche le condotte private possono farlo, purché resti la punibilità per i pubblici ufficiali», spiega Mendez. L’articolo 1 della Convenzione lega la punibilità delle condotte alle sofferenze inflitte «da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito». Anche l’omissione, dunque, dovrebbe rientrare tra le fattispecie punibili.

 

«Dobbiamo recuperare la condanna per la pratica».

Secondo Mendez si può sradicare la tortura dal mondo. «Non è impossibile, ma è certamente difficile», spiega il Relatore speciale. «In primo luogo abbiamo bisogno di recuperare la condanna universale per la pratica che abbiamo in qualche modo perso, per via delle preoccupazioni delle nostre culture legate alla sicurezza, alla paura del crimine o del terrorismo». «Un importante esempio  – prosegue Mendez – di un paese che ha recentemente attuato provvedimenti che sembrano avere un impatto misurabile è la Georgia. La tortura nelle carceri (non come interrogatorio) era dilagante in Georgia meno di tre anni fa, e nella mia recente visita (Marzo 2015) ho visitato molte prigioni e intervistato molti detenuti. Mi hanno confermato che i maltrattamenti da parte delle guardie carcerarie non hanno più avuto luogo». Certo, sussistono ancora «singoli casi» di tortura. Ma la rotta tracciata, secondo Mendez, è quella giusta.

25 Aprile 2015 | 12:00
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