Se Pietro venera la Sindone. I Papi e l'immagine del mistero

di GIACOMO GALEAZZI

Quando Pietro venera la Sindone. Nel 1506 fu il francescano Giulio II, mecenate di Michelangelo e Raffaello, ad autorizzarne il culto pubblico con messa e ufficio proprio. In epoca moderna la missione dei Papi incrocia il lenzuolo che avrebbe avvolto Gesù nel sepolcro dopo la deposizione dalla croce. «Non sono proprio immagini di Maria santissima, ma del Divin Figlio suo: esse vengono proprio da quell’ancor misterioso oggetto, ma certamente non di fattura umana, questo si può dir già dimostrato, che è la santa Sindone di Torino», afferma Pio XI. E il suo immediato successore Eugenio Pacelli condivide la stessa venerazione: «Torino custodisce come prezioso tesoro la Santa Sindone che mostra l’immagine del corpo esanime e del Divino Volto affranto di Gesù». E se Giovanni Paolo I rende omaggio alla devozione popolare dei «cultores Sanctae Sindonis», è con Giovanni Paolo II che il «cammino sindonico» tra Roma e Torino è più intenso.
«»¨Giovanni Paolo II

Il 24 maggio 1998 Karol Wojtyla arriva nella terra dei santi sociali come pellegrino della Sindone. E si inginocchia nella «cattedrale di Torino, il luogo dove si trova la reliquia più splendida della passione e della risurrezione». Pronuncia parole inequivocabili. «La Sacra Sindone, singolarissima testimone della Pasqua, della passione, della morte e della risurrezione. Testimone muto ma nello stesso tempo sorprendentemente eloquente».»«¨Del resto, con la medesima intensità di fede, San Carlo Borromeo camminò cinque giorni per andare a piedi da Milano a Torino a contemplare il sacro lino per sciogliere il voto fatto durante la peste del 1576. Quindi Karol Wojtyla considerava la Sindone una reliquia, Benedetto XVI un’icona.

 

Benedetto XVI

Il 2 maggio del 2010 il Papa teologo Joseph Ratzinger alzò gli occhi verso «il mistero che spinge a cercare il volto di Dio» e sussurrò a fior di labbra: «Pater noster». Per cinque interminabili, commoventi minuti Benedetto XVI si inginocchiò a pregare davanti al «simbolo dell’umanità oscurata del XX secolo». Nell’oscurità del duomo di Torino, Benedetto XVI confessò di essere diventato, con il passare degli anni, ancor più sensibile al «messaggio di questa straordinaria icona», simbolo del Sabato santo, del «nascondimento di Dio», ma anche prefigurazione della sua resurrezione.»«¨Â»Â«¨Senza entrare nella disputa sulla datazione del lenzuolo donato dai Savoia, Benedetto XVI definì la Sindone «un telo sepolcrale, che ha avvolto la salma di un uomo crocifisso in tutto corrispondente a quanto i Vangeli ci dicono di Gesù, il quale, crocifisso verso mezzogiorno, spirò verso le tre del pomeriggio». Però se «l’immagine impressa è quella di un morto, il sangue parla della sua vita. Ogni traccia di sangue parla di amore e di vita. Specialmente quella macchia abbondante vicina al costato», Ratzinger dixit.

 

Proprietari del Lino

E i Pontefici ne sono anche i proprietari in virtù di una donazione regale. Nel 1983 muore Umberto II di Savoia, ultimo re d’Italia. Nel testamento lascia la Sindone in eredità al Papa. Giovanni Paolo II ne è commosso e felice. Decide che rimanga a Torino e nomina l’arcivescovo della città suo custode. La preghiera di Wojtyla davanti alla Sindone fu il punto più alto della venerazione dei successori di Pietro per il sacro lino. «Si sapeva che Giovanni Paolo II aveva un rapporto particolare con quella realtà misteriosa, ma quel giorno tutto il mondo poté rendersene conto e coglierne le motivazioni – ricorda monsignor Giuseppe Ghiberti, presidente onorario della Commissione diocesana per la Sindone -. Entrò nel Duomo ancora segnato dalle conseguenze dell’incendio dell’anno precedente e si diresse alla cappella dell’Eucaristia. Aveva in mano la corona del rosario che non lo abbandonava mai. Si fermò in adorazione e poi si diresse al camminamento dei pellegrini per inginocchiarsi davanti alla Sindone». Un raccoglimento lungo. E una preghiera a voce alta «Anima Christi, sanctifica me; corpus Christi, salva me; passio Christi, conforta me; intra tua vulnera asconde me».

 

L’ostensione privata

Da cardinale, nell’ostensione del 1978, poche settimane prima del conclave che lo avrebbe eletto Papa, Karol Wojtyla rese omaggio al sacro lino. «Discreto, devoto e attentissimo, quasi curioso – rievoca Ghiberti -. Tornò alla Sindone durante la sua prima visita a Torino nel 1980, quando il cardinale Anastasio Ballestrero riuscì a realizzare, con il consenso di Casa Savoia, allora proprietaria, un’ostensione privata per il Papa. La vide un’altra volta, in forma privatissima, durante un passaggio a Torino; poi tornò in pellegrinaggio ufficiale nel 1998».

 

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20 Aprile 2015 | 12:00
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