Religiose in missione nelle fabbriche cambogiane. Operaie non schiave.

L’Osservatore Romano
«Quando siamo arrivate a Pochentong abbiamo parlato con 300 operaie tessili, abbiamo visitato le loro case per capire quali fossero le necessità più urgenti». Così madre Eulie, missionaria francese in Cambogia, racconta i primi passi del Centro Lindalva, un’iniziativa nata nella zona industriale di Pochentong, nei pressi dell’aeroporto di Phnom Penh, per aiutare le operaie che lavorano spesso in condizioni di schiavitù nelle fabbriche tessili e per fornire sostegno alle famiglie.
La Cambogia ha sottoscritto le convenzioni internazionali contro il lavoro minorile e ha approvato le linee guida per il salario minimo. Tuttavia la quotidianità dei lavoratori si scontra non di rado con una realtà molto diversa. A lavorare nelle fabbriche sono soprattutto donne e ragazze tra i 18 e i 25 anni. Non esistono asili e i bambini rimangono a casa da soli: alcuni girano per la città chiedendo l’elemosina, altri sono rinchiusi in casa dai genitori per evitare che diventino vittime della tratta.
Il Centro Lindalva creato dalle missionarie francesi riesce a ospitare e assistere soltanto ottanta bambini. Si tratta di un’oasi nel mezzo di uno slum che offre, in un ambiente semplice, la possibilità di frequentare una scuola in aule ben attrezzate. Il centro dà alle mamme anche la possibilità di seguire un corso di aggiornamento professionale e offre aiuto psicologico.
Uno squarcio di luce in una realtà durissima, per le donne in particolare. Molte di loro lavorano infatti in condizioni pessime all’interno di fabbriche tessili che confezionano pantaloni, t-shirt e camicie per il mercato asiatico ed europeo. Bisogna produrre di più e nel minor tempo possibile, al prezzo più basso. Anche facendo gli straordinari, lo stipendio basta a malapena alla sopravvivenza.
All’inizio dell’anno in Cambogia — riferisce l’agenzia Misna — il salario minimo era pari a 62 euro. Secondo la Asia Floor Wage, la campagna organizzata da sindacati e associazioni per i diritti umani, sarebbe necessario guadagnare almeno quattro volte tanto.
Le testimonianze che arrivano dalla Cambogia sono impressionanti. Oum Ratha ha 15 anni e vive con i genitori e i due fratelli in una minuscola baracca. Accanto al suo letto ha appeso poster di indossatrici e attori: sogna, come tanti altri ragazzi, una vita migliore. La famiglia di Oum si è trasferita in città dalla campagna per trovare lavoro in un’industria tessile o calzaturiera. Di lavoro se ne trova in abbondanza, ma lo stipendio non garantisce affatto condizioni di vita accettabili. Oum ha dovuto lasciare la scuola. «Per essere assunta ho mostrato al mio capo il documento di mia sorella maggiore», racconta la ragazza all’agenzia Misna. Adesso lavora dodici ore al giorno dal lunedì al sabato compreso. E la domenica? «Dormo e, se qualcuno mi presta un libro, leggo anche un po’», dice Oum.
Nel Centro Lindalva si cerca di dare aiuto ai più bisognosi, ma l’impegno si estende a tutta la provincia del Takéo, nella zona meridionale della Cambogia, dove le suore visitano i paesi per convincere le persone a non abbandonare la campagna. «In diversi villaggi — racconta la religiosa — abbiamo avviato programmi alimentari e fondato piccoli circoli. Qui si riuniscono le donne che si sostengono a vicenda con microcrediti».
L’Osservatore Romano, 4 marzo 2015.

4 Marzo 2015 | 18:01
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