Miliardi in armi, carburante per le guerre

di Giulio Albanese
Italia Caritas – giugno 2015

La spesa militare mondiale nel 2014? Un dato preoccupante, sul quale occorre riflettere. Percentualmente, si registra un calo complessivo. Ma essa cresce nei contesti geostrategici più incandescenti del nostro pianeta. Secondo il recente report dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), vi è una diminuzione dello 0,4% in termini reali rispetto al 2013, con una spesa complessiva di 1.800 miliardi di dollari. Per il terzo anno consecutivo, la spesa militare mondiale è scesa, in seguito alle riduzioni di budget negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale, mentre è aumentata in Asia, Oceania, Medio Oriente, Europa orientale e Africa.
Dunque, non c’è affatto da stare tranquilli. Se da una parte, infatti, la spesa militare Usa è diminuita del 6,5% (addirittura del 20%, rispetto al picco del 2010), un incremento significativo ha riguardato, tanto per fare qualche nome, le spese militari di Cina, Russia, Australia e Arabia Saudita. Per quest’ultima l’incremento è stato addirittura del 17%, a riprova del fatto che il governo di Ryad intende contrapporsi a un possibile nuovo indirizzo distensivo della diplomazia statunitense ed europea nei confronti dell’Iran.
Inoltre, il conflitto in Ucraina ha indotto i paesi europei confinanti con la Russia, dell’Europa centrale, nonché i paesi baltici e nordici, ad aumentare la loro spesa militare, invertendo le precedenti tendenze al ribasso. E cosa dire dell’Africa? In questa realtà continentale, condizionata pesantemente dai conflitti, le spese militari sono aumentate del 5,9%, in particolare in Algeria e Angola (rispettivamente +12% e +6,7%).

Lacrime di coccodrillo
È comunque importante ricordare che il mondo, nel suo complesso, spende 5 miliardi di dollari al giorno in armi e munizioni. In altre parole per l’umanità, di cui siamo tutti parte integrante, pare assai importante spendere quattrini per armarsi, invece di impiegare queste cifre stratosferiche in ambito civile, al fine di contrastare fame, pandemie, analfabetismo, surriscaldamento del pianeta e inquinamento globale.
Non si tratta di fare retorica. Ma di constatare che i mercati delle armi si stanno ampliando a dismisura: li alimentano, per la loro difesa, i regimi totalitari, ma questo accade anche nelle aree dove vi sono evidenti interessi legati al controllo delle commodities (in particolare le fonti energetiche). Occorre, comunque, alla luce anche delle coraggiose provocazioni del magistero di papa Francesco, affrontare questo tema, giocando la carta della consapevolezza. Progettando, ad esempio, itinerari specifici di formazione teologica, morale e spirituale alla pace, che accompagnino adeguate scelte di denuncia, rinuncia e annuncio, per una nuova civiltà dell’amore.
Agli scettici può sembrare un’utopia, ma questo è un terreno dove s’impone la profezia evangelica. D’altronde, se è vero che l’antica locuzione romana Si vis pacem para bellum è purtroppo ancora oggi professata con disarmante spregiudicatezza da coloro che siedono nella cosiddetta «stanza dei bottoni», d’altro canto non si possono poi versare lacrime da coccodrillo, quando s’innescano consistenti flussi migratori verso la vecchia Europa, a seguito delle crisi che affliggono l’Africa subsahariana.
Non si tratta, come scrive certa stampa, d’essere «buonisti». Nessuno intende misconoscere le brutalità e le angherie perpetrate nei bassifondi della Storia. Ma l’esperienza di tanti missionari e missionarie, in paesi dove vi sono alti indici di conflittualità, insegna che la passione per la verità e i concreti gesti di amore possono trasformare la vita, secondo l’insegnamento di Gesù.
È davvero illuminante, in proposito, un pensiero di Carlo Levi: «La sola ragione della guerra è di non aver ragione (ché, dove è ragione, non vi è guerra); le guerre vere ed efficaci sono soltanto le guerre ingiuste; e le vittime innocenti sono le più utili e di odor soave al nutrimento degli dèi».

2 Luglio 2015 | 18:00
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