Milano: accoglienza diffusa per i profughi

L’accoglienza diffusa è la strada da percorrere per affrontare il processo migratorio che non si può arrestare, ma va orientato attraverso una promozione dell’accoglienza: è la proposta che l’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, assieme a Caritas ambrosiana, ha rilanciato sulla distribuzione dei profughi e dei rifugiati politici «in piccoli gruppi in ogni parrocchia» della diocesi di Milano, accolti in appartamenti o strutture liberi appartenenti alle parrocchie, agli istituti religiosi o anche messi a disposizione da fedeli.

Un modello che è già stato trasformato in realtà dal centro profughi Casa Suraya che porta il nome della prima bambina siriana che qui è nata. Si trova a Milano, nel quartiere Lampugnano, in una struttura appartenente alla Congregazione delle Suore della Riparazione che lo hanno messo a disposizione della Coperativa Farsi Prossimo. Attraverso due convenzioni, una con il Comune e l’altra con la Prefettura, gli operatori gestiscono l’accoglienza di oltre un centinaio di profughi, tra i loro tantissimi siriani in transito verso il Nord Europa, ma anche eritrei, etiopi e palestinesi richiedenti asilo.

«Un luogo di civiltà» – l’ha definito il cardinale nel corso della sua visita – dove si incontrano i volti di donne e uomini che hanno attraversato terre e mari, rischiando la vita e percorrendo il loro calvario del terzo millennio.

«La crescita umana è impossibile fuori dalla relazione, la condivisione del bisogno si dilata – ha sottolineato l’arcivescovo di Milano -, come ci insegna il Vangelo, e questo mi colpisce vedendo l’alleanza per l’accoglienza che si coltiva qui. Chancelvie (una delle donne richiedenti asilo, ndr) ha detto: «Sono venuta qui perché vorrei che i miei figli diventassero persone libere e mi piacerebbe che potessero studiare». Questo è il nostro bisogno perché le libertà realizzate sono ancora poche. Una democrazia si vede dalle libertà non conclamate, ma realizzate, e io sono gratissimo, come vescovo, a chi, a ogni livello, si gioca in prima persona».

Tornando sull’accoglienza diffusa «l’idea – ha spiegato Scola – è domandare ai parroci se hanno a disposizione dei luoghi, poi attraverso i loro responsabili riunire persone sensibili, spiegare di cosa si tratta, in modo che si possa spiegare poi a chi ha paura che non succede niente di strano: in un paese di 3-4mila abitanti avere qualche gruppetto di ospiti non porta nessun tragico disagio».

Per la gestione delle case messe a disposizione dalle parrocchie, ha spiegato don Roberto Davanzo, direttore di Caritas Ambrosiana, «non chiediamo ai parroci di sobbarcarsi alcun onere organizzativo: ci penseranno Caritas e gli operatori delle cooperative».

Anche perché, ha spiegato Luciano Gualzetti, vice direttore di Caritas Ambrosiana, «oltre che vitto e alloggio occorre un accompagnamento e un sostegno all’integrazione». Una proposta per «affrontare diversamente una situazione che ormai è strutturale» hanno sottolineato Davanzo e Gualzetti e che «non si può chiamare emergenza in eterno». «Non ci si deve scandalizzare – ha poi aggiunto Scola – che molti nostri conterranei abbiano paura. Troppi e troppo rapidi sono stati i cambiamenti, solo che la paura è una cattiva consigliera e occorre, invece, un grande lavoro educativo che un luogo come questo realizza di fatto, perché l’educazione non è costruita di discorsi, ma è un frutto che «passa» per osmosi. L’Europa è assai lenta, ma dal basso, attraverso esperienze come questa, può muoversi qualcosa».

31 Luglio 2015 | 07:50
Tempo di lettura: ca. 2 min.
Condividere questo articolo!