I colori del Guatemala

di Marco Grisenti

unimondo.org–  12 marzo 2015  

In una terra dilaniata da 36 anni di guerra civile, perseguitata da eventi atmosferici distruttivi, eruzioni vulcaniche e terremoti, che rappresentano minacce quasi annuali alla produzione agricola, alle infrastrutture e alla vita umana, col quinto tasso più alto al mondo di omicidi intenzionali (commessi da individui e/o piccoli gruppi) per numero di abitanti, e una popolazione sotto la soglia di povertà in crescita inesorabile, sembrerebbe che non ci sia più nulla in cui sperare. L’Indice di Sviluppo Umano nel 2013 collocava il Guatemala 133esimo tra i 187 paesi in classifica e all’ultimo posto in America Centrale, anche a causa di un tasso di mortalità e malnutrizione cronica infantile tra i più alti del continente. Il Guatemala detiene il tasso di disuguaglianza sociale più alto di tutta l’America Latina, dove il 10% più ricco dei cittadini del paese consuma oltre il 47% del reddito nazionale totale, mentre il 10% più povero rappresenta solo un misero 1% del reddito nazionale. Come se non bastasse, la percentuale di popolazione che vive con la fame è aumentato del 80% solo nel corso degli ultimi 20 anni, da circa il 17% nel 1991, al 30,5% nel 2012.

La situazione permane catastrofica anche dal punto di vista ambientale: livelli di inquinamento cittadino sproporzionati, del 65% del volume totale di acqua disponibile sul suolo nazionale, il 40% non può essere usato a causa di un’elevata contaminazione. Gli amanti della natura non saranno felici di sapere che dal 1950 il 60% dei suoi alberi sono andati persi e il Guatemala (nome che, per l’appunto, proviene dall’idioma maya náhuatl: «Quauhtlemallan», letteralmente «luogo di molti alberi») è ora identificato come il secondo paese più vulnerabile ai disastri naturali.

Tutto fa pensare a una nazione abbandonata a se stessa, in cui non valga la pena mettere piede a priori. Men che meno rimboccarsi le maniche e trascorrere qualche mese in una delle innumerevoli ONG presenti nel paese, di cui si è visto un notevole proliferare negli ultimi anni. Si tratta spesso di organizzazioni a scopo umanitario che, sostituendosi al ruolo di instituzioni pubbliche, cercano di tamponare uno dei tanti problemi che affligge il paese, soprattutto nelle zone rurali e remote del paese, dove la situazione è particolarmente complicata, e 8 persone su 10 vivono in condizioni di povertà. Spesso queste ONG svolgono le proprie attività senza sviluppare un quadro più completo, o impegnarsi in movimenti associazionistici a livello regionale o nazionale, e, nonostante riescano a galleggiare grazie a una rete di sovvenzioni internazionali, forse, a volte, peccano di presunzione nel voler cambiare il sistema.

Eppure, aldilà di tutte le sue sfide, Il Guatemala è il paese più grande e multiculturale dell’America Centrale e vanta un potenziale enorme per accelerare la crescita economica, attraverso il commercio, l’integrazione regionale e il turismo, fungendo da trainante per i paesi limitrofi. I dati macroeconomici sono confortanti e segnalano una crescita dell’economia del paese superiore al 3% dal 2010 al 2013. Per il 2014 è previsto un ulteriore incremento del PIL del 3,4%. Tra i vari riconoscimenti ricevuti, Città del Guatemala è stata recentemente eletta Capitale Iberoamericana della Cultura 2015 un fatto che non sorprende, data l’incredibile ricchezza culturale, frutto dell’incrocio di etnie, tradizioni e microclimi differenti, presenti in un paese relativamente piccolo. La stessa capitale è stata inoltre nominata dalla rivista Virgin come start-up hub dell’anno , soprattutto nel settore dei servizi telefonici, considerati i circa 9 milioni di possessori di cellulare su una popolazione totale di 15.5. A supportare tale tesi vengono citati un’ottima selezione di programmatori pronti per essere assunti, una comoda posizione geografica (fuso orario strategico per servizi di outsourcing) e un clima costantemente primaverile. Senza contare che un paese povero dispone, di per sè, di un ecosistema sempre aperto a nuove e creative opportunità di business.

Vivo a Quetzaltenango da un paio di mesi e, come tanti altri miei coetanei, mi occupo dello sviluppo sostenibile e sociale di questo paese. Oltre ai numeri, oltre alle statistiche, la cosa che più di tutte mi ha colpito di questo paese sono i suoi colori, così vivaci, sinceri, a cui non serve rivolgere domande, perchè ti hanno già risposto. Mi riferisco alle pareti crepate delle case fatiscenti, alle facciate impeccabili delle chiese cattoliche, alle decorazioni evanescenti dei chicken bus (mezzi di trasporto locali), alle sciarpe della squadra di calcio locale, alle trame sontuose e appariscenti degli huipiles e degli abiti tradizionali delle donne indigene, ai mercati di prodotti tessili e all’imbarazzante varietà di frutta e verdura che si incontra sulle bancarelle di tutto il paese, alla sua biodiversità. All’alba ammirata da un paesaggio lunare a 4000 metri, o dalla sommità di un tempio Maya, al sole che regala tramonti dalle forme piramidali perfette e culla vallate di un verde rigoglioso e intenso. Ai sorrisi della gente, anche privi di denti, a cui basta sempre poco, a una tipica colazione chapina, con uova, frutta tropicale, frijoles e crema.

I colori del Guatemala sono riflessi nel coraggio di una giovane ragazza guatemalteca, che frequenta l’università coi risparmi di una vita dei propri genitori e possiede l’enorme opportunità di bruciare le tappe generazionali e fondere insieme tradizione e innovazione, per ridare un volto alla terra in cui è nata.

30 Marzo 2015 | 15:39
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