Egitto e Nigeria mandano l’Africa al patibolo

di Marco Simoncelli
Nigrizia – 2 aprile 2015

Amnesty International ieri ha pubblicato il suo rapporto annuale sulla pena di morte nel mondo relativo al 2014.
Le condanne sono aumentate del 28% rispetto al 2013. Un incremento dovuto anche e soprattutto all’exploit di due nazioni africane, Egitto e Nigeria, dove l’instabilità politica, conflitti interni e il terrorismo hanno portato i governi a usare fortemente la pena capitale. È l’Africa in generale comunque a far registrare questa tendenzanonostante l’impegno abolizionista di molti paesi del continente, anche se il numero delle esecuzioni è diminuito rispetto all’anno precedente, le condanne registrate nella sola africa subsahariana hanno raggiunto il picco storico di 907 nel 2014.

Partiamo con la tenenza mondiale.
Le sentenze di morte nel mondo sono state 19.094 nel 2014 con un aumento di 2466 rispetto al 2013. La messa in pratica della pena capitale è invece diminuita. Le esecuzioni registrate nel mondo sono state 607, il 22 per cento in meno del 2013 (con l’esclusione della Cina, che da sola esegue più condanne a morte che il resto del mondo). E i paesi che le hanno applicate sono i soliti noti, 22 nazioni, come nel 2013, fra cui figurano Iran, Arabia Saudita, Iraq e Usa.

La pena capitale nel continente africano
Veniamo all’Africa. Nell’Africa sub-sahariana, 46 persone sono state giustiziate contro le 64 del 2013. Sono tre i paesi africani responsabili di queste esecuzioni contro i cinque paesi che ne avevano fatto uso nel 2013. E sono stati la Guinea Equatoriale, la Somalia e il Sudan.

Dato interessante che emerge dal rapporto di quest’anno, è che l’aumento delle condanne a livello mondiale del 28%, secondo Amnesty International, sarebbe in gran parte causato dall’aumento osservato in Africa. Basti notare che nell’Africa subsahariana ci sono state 484 sentenze di morte in più rispetto al 2013 per un totale di 907 avvenute in 18 paesi. Se poi, facendo un paio di calcoli, a queste si aggiungono quelle registrate nei paesi del Nord Africa (Egitto, Algeria, Marocco, Libia e Tunisia) che sono state 617, si arriva a un totale di condanne nel continente pari a 1524.
La causa di questi aumenti di sentenze resta ovvia: la criminalità, il terrorismo e l’instabilità politica interna, porta molti paesi a fare ampio uso della pena capitale, perché viene visto come un forte mezzo di controllo e intimidazione.
Ma ciò non giustificherebbe comunque un numero di sentenze così elevato. La spiegazione comunque c’è. A pesare in modo decisivo sono le sentenze, nella maggior parte dei casi collettive, emesse dalle magistrature di due paesi l’Egitto e la Nigeria.

I due giustizieri africani
In Nigeria, nel 2014 sono state emesse 659 condanne a morte, con un aumento di oltre 500 rispetto alle 141 del 2013. Il paese, dove si sono appena svolte le elezioni presidenziali che hanno proclamato Muhammadu Buhari nuovo presidente, è in cima alla classifica dei paesi africani per numero di condanne.
Sicuramente tutte queste sentenze sono legate al conflitto in corso contro il gruppo islamista Boko haram. Basti pensare che in una serie di processi, riporta Amnesty, i tribunali militari hanno condannato a morte in un colpo solo una settantina di soldati per ammutinamento, sempre nel contesto del conflitto.
In Egitto, invece le condanne a morte inflitte nel 2014 sono state almeno 509, 400 in più rispetto al 2013. Un incremento, sottolineano i ricercatori dell’ong, dovuto invece all’inasprirsi della repressione del movimento dei Fratelli Musulmani e in generale dei gruppi islamisti che si oppongono al governo dell’ex generale Abdel Fattah Al Sissi. Tra i casi più eclatanti è citata la condanna a morte di ben 183 imputati in un processo di massa celebrato a giugno.

Uno strumento futile e inefficace
Le uniche buone notizie che si riscontrano nell’analisi di Amnesty sono quindi quelle relative al numero delle esecuzioni che è diminuito rispetto al 2013 e il fatto che diversi paesi hanno intrapreso passi avanti verso l’abolizione della pena capitale.
Ma una caratteristica che resta chiara e rappresenta la base per ottenere il cambiamento culturale necessario a debellare questa pratica, specie nei paesi africani, la sua inefficacia. «I governi che usano la pena di morte per contrastare la criminalità ingannano sé stessi. Non c’è prova che la minaccia di un’esecuzione costituisca un deterrente più efficace rispetto a qualsiasi altra sanzione» – ha affermato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International.
Il rischio di commettere degli errori nel giudicare i condannati resta altissimo. Una frase recente del governatore dello stato di Washington, Jay Inslee, inserita all’inizio del rapporto di Amnesty che riassume tale concetto «Ci sono troppe imperfezioni nel sistema. E quando la decisione finale è la morte, la posta in gioco è troppo alta per accettare un sistema imperfetto».

25 Aprile 2015 | 18:00
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