Papa e Vaticano

A colloquio con il cappellano della Guardia Svizzera Pontificia alla vigilia del giuramento delle nuove reclute. Parrocchia atipica

L’Osservatore Romano

(Nicola Gori) Il ruolo del cappellano all’interno della Guardia Svizzera Pontificia è poliedrico, perché si tratta di guidare una comunità cristiana che si caratterizza per essere una «parrocchia atipica». Così la definisce don Thomas Widmer, da quattro mesi nuovo cappellano del Corpo, che in questa intervista al nostro giornale racconta la sua esperienza alla vigilia del giuramento delle nuove reclute, che si svolgerà venerdì 6 maggio.
Qual è il primo bilancio della sua esperienza come cappellano?
Sono trascorsi ormai quattro mesi dalla mia nomina. E devo dire che si tratta di una bella esperienza. Posso imparare molto da ciascuna persona ma anche dall’istituzione in quanto tale.
Essere cappellano significa essere pastore di una «parrocchia atipica», perché ci sono soprattutto dei giovani che ancora hanno la loro vita davanti a sé. Il mio ruolo è in primo luogo di accompagnarli, essere padre e fratello e favorire la loro crescita umana e spirituale, consapevole che essere qui a Roma, nel centro del cattolicesimo universale, è per loro un’esperienza unica che apre nuovi orizzonti sulla Chiesa.
Il giubileo straordinario ha comportato un cambiamento nella routine di servizio delle guardie?
Dal punto di vista del servizio non ci sono compiti diversi. È un’intensificazione del nostro abituale servizio, soprattutto per il maggior numero degli appuntamenti nelle giornate del Papa.
Per quali motivi un giovane decide di entrare nella Guardia Svizzera Pontificia?
Ci sono vari motivi. Da una parte è un’applicazione concreta di conoscenze già acquisite in ambito militare, considerando il servizio svolto accanto al Papa. Dall’altra, i ragazzi vengono qui per motivi di fede, perché vedono questa missione come occasione peculiare per approfondire la loro fede e fare esperienza di Chiesa vicino al Romano Pontefice. E infine hanno la consapevolezza che la conoscenza del Vaticano, della città di Roma e della lingua italiana è un arricchimento notevole.
Qual è il ruolo del cappellano nell’ambito della formazione?
L’obiettivo della formazione riservata al cappellano è la maturazione umana e spirituale. Per confrontarsi con la fede ci sono degli incontri frequenti, che in questo periodo si focalizzano sul significato dell’anno della misericordia e sui temi contenuti nella bolla Misericordiae vultus. Quando arrivano le nuove reclute devono seguire un programma di esercitazione, ma anche di incontri di catechesi col cappellano. C’è poi la preparazione al giuramento, durante la quale ci confrontiamo sul suo significato, sulla fedeltà e sul senso del dono della vita. Non manca nemmeno una riflessione sul ruolo dell’apostolo Pietro. E si punta anche sulla formazione culturale: sono previste infatti gite e pellegrinaggi in luoghi significativi.
C’è una particolare attenzione alle emergenze del momento: emigrazione, nuove forme di povertà, emarginazione?
Questi temi sono implicitamente o esplicitamente sempre presenti. Nelle nostre catechesi parliamo, per esempio, delle opere di misericordia. Poi, ci sono volontari che accompagnano l’arcivescovo elemosiniere Konrad Krajewski, che si occupa dei bisognosi e porta cibo ai poveri. Le guardie si impegnano anche nella preparazione di queste uscite o della distribuzione del cibo. Ho inoltre sollecitato le guardie a riflettere sulla possibilità di seguire un determinato progetto sociale.
L’Osservatore Romano, 4 maggio 2016.

4 Maggio 2016 | 12:00
Tempo di lettura: ca. 2 min.
Condividere questo articolo!