Bangladesh nel caos, la Chiesa lancia l’Sos

GEROLAMO FAZZINI

MILANO

Il Bangladesh sta attraversando una delle crisi politiche più gravi degli ultimi tempi e la Chiesa lancia l’allarme: senza dialogo non si va lontano. Dai primi di gennaio – esattamente a distanza di un anno dalle contestate elezioni che videro l’affermazione di Sheikh Hasina, a capo dell’Awami League – la sua avversaria, Khaleda Zia, due volte Primo ministro del Paese e attuale presidente del principale partito d’opposizione, il Bangladesh Nationalist Party (Bnp), ha indetto un blocco totale e tempo indefinito dei trasporti oborot», in lingua locale) che punta a rovesciare il governo. Da allora le autorità del Paese hanno bloccato Zia nel suo ufficio, di fatto mettendola agli arresti domiciliari.

Nel frattempo le proteste dell’opposizione hanno causato un’ondata di violenze, che finora hanno prodotto un centinaio di morti e oltre 300 feriti, oltre a causare enormi disagi alla popolazione.

L’altro ieri, poi, un tribunale di Dhaka ha emesso un mandato d’arresto per Khaleda Zia, con l’accusa di non essersi presentata a un’udienza in un processo per due casi di corruzione in cui è coinvolta. La leader del Bnp ha replicato definendo strumentali le accuse a suo carico.

Sta di fatto che la situazione sociale è incandescente e non si intravedono, al momento, sbocchi possibili. A complicare le cose c’è è la presenza del partito islamico fondamentalista Jamaat-e-Islam, alleato con l’opposizione: pur essendo piccolo, è molto agguerrito e violento.

«Due giorni fa i giornali parlavano di relativa calma sul fronte degli scioperi solo perché il giorno prima erano stati bruciati soltanto due pullman, senza che ci fossero vittime, perché la gente ha avuto il tempo di scendere e scappare», racconta padre Quirico Martinelli, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime), da lunghi anni attivo nel Paese. «Abbiamo oltrepassato il cinquantesimo giorno di scioperi e di blocchi stradali, che sono costati molti morti e feriti, e con danni economici molto rilevanti, e non ancora si vede una via di uscita. Alcuni gruppi di eminenti cittadini della società civile, non legati ai partiti politici, hanno cercato di proporre vie di soluzioni attraverso il dialogo tra governo e opposizione. Ma – sin qui – senza risultati».

I vescovi del Bangladesh – dal canto loro – non hanno fatto nessuna dichiarazione ufficiale, «forse per non correre il pericolo di essere strumentalizzati da una delle due parti in contrasto». All’inizio della Quaresima tuttavia hanno invitato tutti i cristiani a pregare in modo particolare per la pace e la concordia nel Paese.

«Per quanto riguarda i cristiani locali, – precisa padre Quirico – la loro situazione non è diversa dagli altri (musulmani e indù): il contrasto è solamente politico e non ha nessun elemento religioso».

Ciò non toglie che le tensioni siano fonte di grande preoccupazione. Ogni settimana (tranne il venerdì e il sabato) i partiti dell’opposizione, dopo aver dichiarato il blocco stradale ad oltranza, hanno proclamato lo sciopero generale (»hortal») di 72 ore di fila: una decisione che ha provocato ripercussioni pesanti.

Tutto questo ha portato danni economici incalcolabili: merci che non possono essere trasportate in città, aumento dei prezzi, industrie costrette a fermare la produzione. Anche i riflessi negativi sulla vita sociale non sono da poco. L’anno scolastico (che in Bangladesh inizia a gennaio), per molte scuole non è nemmeno cominciato; per altre va avanti a singhiozzo, perché i genitori non si fidano a mandare a scuola i bambini in questa situazione.

«Nella capitale Dhaka la capitale, a motivo della presenza massiccia della polizia, molti veicoli circolano. Ma fuori dalla capitale, sulle lunghe distanze, tanti pullman non si avventurano per paura degli attacchi improvvisi degli attivisti, fatti con bottiglie incendiarie. Una tecnica iniziata solo l’anno scorso, che prima non esisteva: consiste nel buttare una bottiglia di benzina dentro un pullman o un camion che passa. Questo ha provocato tanti morti e feriti in questi 50 giorni. Inoltre gli attivisti hanno fatto deragliare anche quattro treni, cosa mai fatta prima», commenta amaro padre Martinelli.

 

Aggiunge il missionario italiano: «La lotta politica sta diventando sempre più violenta nei mezzi usati: mentre prima venivano bloccate le strade con picchetti di persone o con alberi messi di traverso, ora, anche per la presenza sempre più massiccia della polizia che li arresta, i rivoltosi colpiscono all’improvviso, su strade isolate, a qualunque ora del giorno e della notte e fuggono. Per questo il governo li chiama terroristi e non vuol sentire parlare di dialogo con l’opposizione, nonostante che dall’Onu e dai rappresentanti di varie nazioni (a cominciare dall’ambasciatore statunitense) siano arrivati appelli a sedersi insieme e a discutere».

28 Febbraio 2015 | 08:01
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